La comunità cristiana e civile ha voluto onorare due umili, una mamma di 86 anni, che con coraggio e in silenzio ha educato e accompagnato i suoi figli, e un uomo di 42 anni affetto dalla sindrome di Down, che con la sua semplicità, il suo calore, la sua capacità di chiedere e di dare affetto, i suoi abbracci e la sua furbizia aveva “stregato” quanti (e sono stati tanti) l’avevano accostato.
La morte di Rosa e del suo figlio che, mentre le fiamme li avvolgevano, si è stretto a lei in un abbraccio che l’eternità non scioglierà, rivela un amore che non ha nomi. La folla che assiepava il duomo mi sembrava un tributo alla piccolezza di cui parla il vangelo e il riconoscimento della bontà silenziosa che, senza rumore, rende ancora bello e vivibile il nostro mondo.
Da quelle due bare si levava un messaggio di fraternità e di speranza, di amore e di fedeltà. In particolare la disabilità di Angelo rilanciava valori di vita che rischiano di essere trascurati o calpestati da coloro che si dichiarano “normali”. “Ti lodo, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le hai rivelare ai piccoli”. Sì, un “piccolo” come Angelo ha ricordato ciò che più conta: l’amore dato e ricevuto, l’amicizia, la trasparenza, la fedeltà, la spontaneità, la fiducia, la fede, la tenacia fino alla morte.
E mentre guardavo quelle bare mi domandavo se la Chiesa non arriverà mai a canonizzare una persona che la società guarda con supponenza, perché affetto dalla sindrome di Down o dal morbo di Alzheimer. Oh, anche se non verranno riconosciuti santi ufficialmente, essi lo sono per Gesù: “A loro appartiene il Regno dei cieli”. Con gioia, tuttavia, possiamo ricordare che recentemente è stato posto sugli altari un uomo malato di mente, il papà di S. Teresa di Gesù Bambino, S. Luigi Martin, che negli ultimi anni di vita fu colpito da demenza senile. Gli “scarti” degli uomini diventano pietre portanti nella Chiesa di Dio.
Padre Carlo Vecchiato, 2018
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.143, 2015