Ma, appunto, a Fede e Luce, per fortuna, le cose vanno spesso un po’ meglio di come ci si aspetta. C’è qualcosa che le arricchisce, che ci accomuna e che ci fa sentire tutti partecipi, attori e non spettatori. Così è stato per la formazione rivolta agli amici di Mari e Vulcani che si è tenuta a Castellammare di Stabia dal 1° al 4 novembre scorsi.
Percorrendo la scia di una lumaca (protagonista di un racconto di Sepulveda) che, con la sua lenta fermezza, percorreva la strada della speranza, tutti i partecipanti si sono messi in gioco e si sono avviati per il cammino che li avrebbe portati verso l’altro. È il cammino dell’incontro e dell’amicizia, in definitiva la sostanza di Fede e Luce. Il primo passo consisteva nel vestire i panni di un compagno scelto con cura fra quelli che meno si conoscevano: il più lontano, quello considerato estraneo e, per un brevissimo lasso di tempo, si è data la possibilità di conoscersi, di entrare nella vita degli altri e “recitare” la loro parte. Questa esperienza ha cominciato a disegnare in ognuno di noi un nuovo cammino, fatto di conoscenza e di immedesimazione. Ci siamo chiesti: “cosa sarebbe la mia vita se indossassi i suoi panni?”.
Il secondo passo consisteva nell’entrare nel mondo emotivo dell’altro. In una immaginaria passeggiata per le strade della vita, ogni partecipante, portatore di un suo stato d’animo, si è scontrato con i vissuti emotivi dell’altro. Gli effetti sono stati molteplici: dallo scontro causato dalle incomprensioni all’incontro tra chi riesce a capirsi solo con uno sguardo. Il gruppo ha provato a dare risposta ad una delle domande più difficili nella relazione con l’altro: “perché non mi capisce?”. A volte è un problema di stati d’animo, altre volte semplicemente di linguaggio.
Infine, il gruppo ha provato a proiettarsi nel futuro. Abbiamo scoperto che la felicità non è una semplice emozione. Semmai la somma di tante, di tutte le sensazioni della vita, anche quelle apparentemente più brutte, come il dolore profondo. La si “costruisce” con un lavoro di squadra che, appunto, non può mai prescindere dall’altro. Alla fine del percorso, l’ennesima sorpresa: tutto ciò che c’era da imparare era già dentro di noi, ma senza l’altro non avremmo avuto mai la fortuna di scoprirlo.
Isabella Gimmi, 2018
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.144, 2018