La chiusura delle scuole speciali ha certamente segnato l’inizio del percorso di integrazione, ma nello stesso tempo ha significato un passaggio importante anche per tutti gli altri, che si sono trovati a dover convivere con chi sembrava tanto diverso. Questo avveniva quarant’anni fa, ma la convivenza tra persone con disabilità e persone normali è ancora vissuta come un’imposizione, senza avvertimento per nessuna delle due parti: l’altro con disabilità era e rimane uno sconosciuto con il quale non si sa come comportarsi, in sua presenza si prova disagio, imbarazzo, paura, pena, senso di colpa, tristezza, si decide perfino cosa prova e cosa pensa e ci si comporta di conseguenza, senza verificare se sia la cosa giusta.
L’intervento legislativo italiano, definito avanzato in materia di disabilità, non ha previsto una politica educativa che “aiutasse” l’incontro, la convivenza e la relazione a scuola; tutto è lasciato al caso, alla sensibilità o al buon senso degli insegnanti, alla capacità di accoglienza reciproca dei bambini e ragazzi. Quaranta lunghi anni sembra non siano trascorsi.
Il progetto Girotondo interviene in questo ambito, entrando nelle scuole di ogni genere e grado. Attualmente è condotto da due persone con disabilità, Arturo Scarabotti, un uomo cieco e io che scrivo queste righe, Patrizia Ciccani, con tetraparesi spastica, traducibile in difficoltà di linguaggio e di movimento. Incontriamo bambini e ragazzi nella loro classe per tre ore, seduti in cerchio. In questo tempo e spazio non c’è niente che non si possa dire o chiedere, anche ciò che sembra brutto o offensivo, qualcosa che non è bene dire perché qualcuno o, in senso più ampio, la cultura in cui viviamo ci ha convinto di questo.
Questo è un patto che stringiamo subito con i ragazzi: “facciamo finta di essere amici da tanto tempo, gli amici possono dirsi tutto senza preoccuparsi di offendere”. Le remore iniziali scompaiono, il racconto della nostra storia accorcia le distanze, la disabilità perde le sembianze di un mostro terribile, assumendo quelle di una caratteristica con la quale è possibile convivere serenamente. I ragazzi imparano che una persona cieca può vivere pienamente e in modo autonomo, sperimentano possibilità inaspettate, scoprono capacità nascoste.
Nel percorso che proponiamo i giochi di ruolo hanno proprio questo scopo: bendati, i ragazzi devono apparecchiare la tavola. Dallo smarrimento nel non vedere passano presto alla ricerca della possibilità di farcela, la esplorano, tentano e alla fine sono molto fieri di essere riusciti in qualcosa che fino a pochi minuti prima ritenevano impossibile. La cecità di Arturo stimola tante domande: vai in giro da solo, come fai ad attraversare la strada, vivi da solo, chi cucina, non ti bruci, ricordi i colori, come ci immagini, come fai a fare la spesa, vai al cinema ed altre ancora.
A molte rispondiamo attraverso un gioco a squadre, costruito sul modello del gioco dell’oca, ogni casella contiene una situazione di vita quotidiana in una condizione di disabilità da risolvere. Con i ragazzi delle scuole superiori gli stimoli sono diversi, proponiamo una lettura che contiene una situazione di disabilità e in piccoli gruppi chiediamo loro di esprimere pensieri e sentimenti e di condividerli poi nel gruppo grande, ciò che emerge è il “materiale” su cui lavoriamo.
Per i ragazzi più grandi è più difficile essere spontanei, ma riescono anche loro a dire ciò che in genere non si può dire; riconoscono, ad esempio, di provare pena, il sentimento più difficile da esprimere di fronte a noi. Il riconoscimento dei sentimenti è il primo grande passo per decidere di costruire una relazione con chi ci mette in difficoltà. Superato questo ostacolo, le barriere cadono facilmente, la pena scompare ed emerge il sorriso, anzi il riso.
L’ironia è uno strumento educativo potente: scherzare sulla nostra disabilità, prenderci in giro a vicenda rende tutto più leggero e dà il permesso ai ragazzi di scoprire che si può fare, perché si scherza insieme, non si deride qualcuno, e la distanza si accorcia sempre di più e la relazione diventa sempre più limpida, libera da agenti inquinanti.
Il progetto Girotondo è nato nel 1991 all’interno di una cooperativa sociale di Roma, ha avuto la supervisione della cattedra di Pedagogia Speciale della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. Abbiamo lavorato tanti anni nelle scuole e, dopo una pausa di qualche anno, abbiamo ricominciato lo scorso anno scolastico a titolo volontario, ovvero è gratuito per le scuole che ne fanno richiesta. Attraverso la collaborazione della cooperativa Oltre abbiamo raccolto fondi con i quali possiamo coprire le spese di trasporto, il taxi, per noi conduttori. Lo scorso anno abbiamo incontrato circa 500 ragazzi, e altrettanti ne incontreremo quest’anno. Tornando nel vivo delle scuole siamo costretti purtroppo a fare una amarissima riflessione.
L’integrazione degli studenti con disabilità è ancora una chimera; la situazione, a parte rare eccezioni dovute all’eccellenza degli insegnanti, non dell’istituzione, è allarmante. Un esempio emblematico: un bambino cieco non impara a leggere e scrivere, e quindi tutto il resto, perché nessuno nelle scuole conosce il metodo di scrittura per ciechi Braille. Come potrà sviluppare il suo apprendimento? Con quale formazione uscirà? Sarà in grado di vivere in modo autonomo? Di lavorare? Questo non è l’unico esempio, ma credo sia davvero eloquente della china che la scuola ha intrapreso ormai da anni. Di nuovo la disabilità torna ad essere “questione” soltanto di chi la vive, non della comunità civile. Ma c’è di più, molto di più. Che scuole, alcuni licei classici in particolare, fossero poco disponibili ad accettare iscrizioni di alunni con disabilità è cosa risaputa e contro la legge, ma che le stesse scuole pubblicamente dichiarino che la loro didattica è migliore, perché tra i loro alunni non ci sono stranieri, poveri e disabili è un segnale chiaro della strada pericolosa che si sta percorrendo.
Il progetto Girotondo è meno di una goccia nel mare che lotta perché questa rotta sia invertita.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.141, 2018