Il nome di Asperger è legato ad una parte delle diagnosi legate allo spettro autistico e in particolare a quelle cosiddette ad alto funzionamento, cioè negli individui con diagnosi di autismo e con un quoziente intellettivo nell’intervallo di normalità. Negli anni ’80, infatti, la psichiatra americana Lorna Wing ravvide nella tesi del 1944 di Hans Asperger, medico austriaco nato nel 1906 e morto nel 1980, la possibilità di evidenziare la varietà della sintomatologia dell’autismo, fino a quel momento descritto principalmente solo nelle sue manifestazioni più gravi da Leo Kanner, psichiatra di origine austriaca emigrato in America.
Il percorso che ha portato però Asperger ad elaborare quella diagnosi è molto controverso, e così la scelta di associare il suo nome alla sindrome, forse poco accurata. Lo capiamo leggendo questo saggio la cui autrice, Edith Sheffer – storica, ricercatrice dell’Istituto di Studi Europei presso l’Università della California, madre di un ragazzo con diagnosi di autismo cui il libro viene dedicato – approfondisce meticolosamente il contesto storico e il percorso personale in cui Asperger ha elaborato la diagnosi di autismo. “Soprattutto perché la sua definizione di psicopatia autistica emerse dalle istituzioni e dai valori del Terzo Reich e fu prodotto dalla psichiatria infantile nazista” (p.14). Asperger non è mai stato incriminato direttamente di alcun crimine, ma l’attento studio d’archivio che l’autrice ripercorre mostra come Asperger abbia partecipato, pur in ruoli non diretti, al programma di eutanasia dei bambini con varie disabilità nella Vienna di quegli anni. Al di là della nuova luce sulla vicenda ambigua del medico, il libro offre molti spunti di riflessione, in particolare sul modo in cui una diagnosi può essere “influenzata da forze sociali e politiche, quanto sia difficile accorgersene e quanto possa essere arduo modificarle.” (p.14) Soprattutto quando le varie “etichette” sono divenute motivo di persecuzioni e sterminio, è molto importante per noi, ora, capirne e riconoscerne i processi di elaborazione.
Recensione di Cristina Tersigni
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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.144, 2018