Quel 13 marzo, infatti, prima della partita degli ottavi di finale contro gli ucraini dello Shakhtar Donetsk il prato dell’Olimpico è stato solcato dai giocatori della Roma accompagnati da bambine e bambini con disabilità. Un unicum, per chi segue il calcio. Se infatti è ormai prassi che minorenni di ambo i sessi con la casacca della squadra avversaria accompagnino gli atleti in campo, la presenza del sorriso con un cromosoma in più, dell’entusiasmo dell’autismo o dell’occhiolino dovuto ad altre particolarità non è affatto usuale. E tra tutti – calciatori compresi – che ci sfilano davanti sullo schermo, spiccano Margherita e Benedetta. Sfrontate, dinoccolate, per nulla intimidite da uno stadio eccitato e debordante: sembra davvero che queste bambine nella vita non abbiano fatto altro che passeggiare tra ali trepidanti di tifosi in visibilio.
Sulla bacheca della mia scrivania, al lavoro, ho la foto dei ventidue di quella grande nottata – Benedetta con Aleksándar Kolárov, Margherita con Radja Nainggolan. La foto accompagna la storia di questi singolari duetti, raccontata da Giampaolo Mattei sulle pagine dell’Osservatore Romano; duetti che non sono stati frutti del caso o di uno slancio momentaneo: la squadra giallorossa è infatti l’unica al mondo ad avere – e a portare avanti – il progetto “calcio insieme”.
Il progetto vede sessanta bambine e bambini con disabilità sia fisiche che mentali giocare con i loro coetanei dei settori giovanili della Roma. Ovviamente è impossibile stabilire chi ne tragga più vantaggi. «Probabilmente tutti allo stesso modo» ha risposto di getto a Mattei il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni, che due anni fa volle fortemente questo progetto-pilota, affidato all’Accademia calcio integrato. Questo progetto, giustamente considerato il fiore all’occhiello di tutte le iniziative solidali promosse dalla fondazione Roma cares, «ci consente – prosegue Baldissoni – di restituire alla comunità, soprattutto a chi ne ha più bisogno, qualcosa della nostra capacità di integrare le diverse realtà nella città e dare una mano ai ragazzi e alle loro famiglie».
Ma quel che fa davvero la differenza in questo progetto è la sua intelligenza. Non ci sono solo accoglienza, cura, passione o altruismo – ingredienti fondamentali, ma che troppo spesso non bastano quando si tratta di disabilità –, c’è che il tutto è condito e compattato dall’intelligenza.
Perché i ragazzi del progetto sono accompagnati da un gruppo di dieci giovani tecnici della società giallorossa. Affiancati dalla pedagogista Maresa Bavota, che si occupa delle relazioni con le famiglie (sono coinvolti anche insegnanti di sostegno), ci sono infatti quattro psicologi dello sport, un logopedista e un direttore scientifico: “tutti volontari specializzati”, spiega Mattei, che “con delicatezza e competenza sono accanto ai ragazzi, spronandoli e accompagnandoli passo passo”. Nessuno spazio dunque per improvvisazioni o superficialità: “Prima di scendere in campo il team ha studiato a fondo nuovi metodi didattici coinvolgenti”. La società giallorossa ha fatto sapere che i risultati di questo esperimento verranno pubblicati. Perché amore e intelligenza potrebbero davvero fare scuola.
Sicuramente qualche seme è stato già piantato. A oggi, infatti, confida Baldissoni a Mattei, «il successo più grande del progetto è il bambino di dodici anni, vera e propria promessa, che alla fine del suo allenamento chiede di poter restare a dare due calci al pallone con il gruppo di quei ragazzi sicuramente tecnicamente molto meno bravi di lui, ma animati dalla stessa passione». La Roma ha vinto. E non solo contro lo Shakhtar Donetsk.
Giulia Galeotti, 2018
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.142, 2018