«I nostri figli non stanno soffrendo, stanno solo vivendo» scrivevano le 49 mamme di bambini ricoverati a Palidoro nei reparti di pediatria, rianimazione e neuroriabilitazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, con gravi diagnosi, in vari casi simili a quelle del piccolo Alfie Evans. «Vogliamo esprimere la nostra vicinanza ai suoi genitori, ai quali ci sentiamo profondamente legati nella comune sofferenza per la malattia dei nostri bambini. Siamo grati ai medici per il grande lavoro di cura nei confronti di tutti i vostri pazienti e dello stesso piccolo Alfie. E siamo grati allo stesso modo al nostro Ospedale Bambino Gesù, che ci consente di tenere in vita i nostri bambini, seppure in condizioni gravissime, mantenendo accesa una fiammella di speranza. Curare, infatti, non significa solo guarire. E curando i bambini voi medici curate allo stesso tempo anche le nostre famiglie, permettendoci di stargli accanto e di sentirci utili. Ogni istante di vita passato insieme ha un valore inestimabile per noi genitori. I nostri figli non stanno soffrendo, stanno solo vivendo. E anche oggi hanno potuto sentire sul viso la bellezza e il calore del sole e delle nostre carezze. Vi preghiamo di non privare della gioia di queste carezze il piccolo Alfie e i suoi genitori».
Una lettera concisa e fortissima che semplicemente testimonia — da parte di chi lo vive quotidianamente — come la persona esista oltre la malattia e la disabilità perché i figli delle mamme di Palidoro sono bambini e basta. Bambini in grande difficoltà, ma in grado di «sentire sul viso la bellezza e il calore del sole» e delle carezze delle loro mamme.
Una lettera che Alfie ci lascia in eredità con tutta la forza dell’interrogativo che sottintende: serve altro per qualificare un’esistenza come degna di vivere?
Giulia Galeotti, 2018
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.142, 2018