Ho scritto queste pagine “prima di tutto per me stessa, per mettere ordine nelle mie poche idee ma confuse…”. “Poi per Valentina, la mia figlia maggiore, perché possa conoscere la storia della nascita della sorella…”. “Per Giulia, perché un domani possa ripercorrere la sua storia…”. Per Francesco, mio marito…”, “Per condividere questa mia esperienza con chi si trovasse in situazioni simili…”.
A questo elenco, dopo aver letto il libro, vorrei aggiungere per tutti noi, per regalarci una storia vera e bella che insegna ad affrontare la vita con coraggio, a riconoscere e superare le difficoltà, a mettersi in discussione, ad imparare ad avere fiducia negli altri e, nello stesso, tempo, ad assumere l‘iniziativa e a prendersi le proprie responsabilità.
È la storia semplice di una bambina con sindrome di Down scritta dalla mamma, Isabella Piersanti, che riflette un’esperienza comune a tante famiglie, raccontata però con una immediatezza, una semplicità, una franchezza e una profondità che non lasciano indifferenti. Un racconto senza censure per quanto riguarda i sentimenti dell’autrice, le vicende della vita familiare, i giudizi e i comportamenti degli altri.
Nel complesso, il libro trasmette fiducia, serenità, speranza. “Noi siamo felici, Giulia è felice e ci rende felici”. Al tempo stesso l’autrice mette in luce – accanto alle scoperte, alle soddisfazioni, alle gioie, alle relazioni positive – le asperità, le sofferenza, le incomprensioni, la fatica di cui è costellata la strada verso la felicità.
Non vengono innanzitutto affatto nascoste o minimizzate le difficoltà iniziali, generate in buona misura dai comportamenti altrui, parole e gesti espressione, in non pochi casi, di un perverso intreccio di luoghi comuni, pregiudizi e assoluta mancanza di sensibilità. Le infermiere che subito dopo il parto entrano a turno nella stanza e chiedono “Signora alla sua età, perché non ha fatto l’amniocentesi? Non si sarebbe trovata in questa situazione”. E qualcuna fa anche riferimento all’età elevata della mamma. Il Preside della scuola cattolica: “Sei stata proprio sfortunata. Uno si fa male ad un braccio e se lo toglie, ma questa disgrazia te la dovrai portare dietro per tutta la vita”. Ma Isabella reagisce e risponde: “Le farò conoscere Giulia, guardi che è una bambina molto simpatica”.
Quello che fa riflettere è, a fronte della banalità e della superficialità, prima ancora che della cattiveria, di troppi giudizi e comportamenti, il processo di maturazione e di crescita personale che per Isabella e la sua famiglia ha inizio con la nascita di Giulia. Però, dopo “la spada che mi trafigge” e il “dolore universale”, nell’apprendere la notizia, nasce subito la consapevolezza di avere bisogno degli altri, della vicinanza affettuosa e del sostegno del marito, dell’aiuto della mamma di cui prima si temeva l’invadenza, della compagnia degli amici.
Gli altri divengono poi i medici, la neuropsichiatra, la psicologa, la fisioterapista, i genitori dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down). I rapporti con le diverse figure professionali: a volte si prendono delle sonore lavate di capo, bisogna riconoscere i comportamenti sbagliati, le paure immotivate, gli atteggiamenti iperprotettivi che separano Giulia dai suoi coetanei e dalla sorella…, il poco tempo speso nel costruire con lei un rapporto. Bisogna poi imparare a conoscere la sindrome, a seguire la crescita di Giulia e le sue molteplici esigenze, a fornire le risposte corrette alle sue domande di bambina sempre più consapevole della propria condizione.
Non manca il racconto del problematico, ma alla fine positivo, rapporto con la scuola. Un’istituzione, per quanto riguarda la disabilità, nel nostro Paese, sulla carta sicuramente all’avanguardia ma che in concreto rivela i propri limiti. Il sostegno arriva in ritardo ed è solo di poche ore. La maestra di matematica cambia quattro volte in un anno, ma per fortuna la maestra di italiano ha professionalità e passione e trascina tutta la classe. A scuola Isabella preferisce chiudere un occhio quando l’insegnante di sostegno, con Giulia presente in classe, sostituisce la maestra curriculare o la professoressa delle medie interroga Giulia e le dice che è stata più brava di Lucia, “colpendo in una sola volta due persone”. Sulla scuola ha però le idee molto chiare, il sostegno è necessario ma non è la questione fondamentale, servono “dei bravi insegnanti curriculari, una disponibilità alla comunicazione, il pieno coinvolgimento di tutti, anche dei compagni di classe e dei loro genitori”.
Poi c’è Valentina che a volte ha difficoltà a coinvolgere Giulia nelle relazioni con i suoi coetanei e che pone precocemente il problema del “dopo di noi”, pensando al suo futuro con la sorella. Valentina però, annota Isabella, come tutti i fratelli normodotati di fratelli disabili, avrà “amici in gamba”, “ragazzi senza pregiudizi”, perché “le persone che verranno volentieri a casa nostra saranno persone libere dalle paure e dai preconcetti”.
Il libro racconta la progressiva scoperta della propria identità di persona con sindrome di Down da parte di Giulia. Giulia che impara a costruire relazioni con i suoi “colleghi” e con i normodotati, che viene presa in giro ed isolata ma anche accolta, difesa e apprezzata. Perché, alla fine, come spiega Isabella a Giulia, “La sindrome di down non è una malattia, è una condizione della persona che l’accompagna per tutta la vita. Le persone con la sindrome di down hanno delle caratteristiche fisiche comuni, ad esempio gli occhi a mandorla o le orecchie piccole. Avere la sindrome vuol dire avere qualche difficoltà in più, impiegare un po’ più di tempo ad imparare a contare, a leggere, ma le persone così sono come le altre, sono tutte diverse tra loro e possono fare tante cose”.
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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.141, 2018