Questa meditazione personale non rimane inchiostro sulle pagine…si è incarnata nella sua missione pastorale, nel tessuto comunitario della sua parrocchia e lo ha portato ad avviare un progetto particolare. Dice ancora don Maurizio: “Anche oggi la logica di Dio funziona così e i protagonisti attivi ora sono alcuni ragazzi con disabilità con genitori anziani che piangono al pensiero per il dopo di loro”.
Quella di don Maurizio è una sensibilità che parte da lontano e si attualizza nell’incontro con quei parrocchiani, genitori di persone con disabilità che non hanno possibilità di vita autonoma, genitori che piangono lacrime di angoscia per un domani così incerto per i loro figli. “Questa urgenza che ho percepito negli occhi e nel cuore dei miei parrocchiani… vedere sistemati i loro figli… è diventata una mia urgenza. Non potevamo solo alzare le spallucce. Ci ho pregato, mi sono confrontato: sono arrivato al vangelo del paraplegico che viene calato dal tetto e lo scoperchiare il tetto è divenuta la parola chiave per capire quello che potevamo fare noi”. Racconta don Maurizio che le prime lacrime ad aver raccolto nella sua vita furono quelle della madre che gli raccontava dei pochi giorni in un istituto del fratello – malato di poliomielite e morto a otto anni, molto prima della nascita di Maurizio.
“In una situazione familiare complicata acconsentì alle richieste di medici che insistevano per il ricovero del figlio. Qualcosa, pochi giorni dopo, la spinse a presentarsi senza preavviso nell’istituto. Lei e mio padre trovarono mio fratello chiuso nello stanzino, con le mani legate perché si stropicciava gli occhi, da solo, pieno di lividi, di escrementi… in una condizione terribile. Gli addetti cercarono di rimediare, ma i miei si resero conto della situazione e lo riportarono a casa. Dopo tanti anni mia mamma ancora piangeva nel ricordare e raccontare quell’episodio.
40 anni dopo…le preoccupazioni relative al dopo di me, che ne sarà di lui, le ho ritrovate intorno a me. E mi sono chiesto: non è un nostro problema? C’è la voglia di non eradicare dal quartiere che queste persone con disabilità conoscono, di rimanere inseriti nel contesto dove sono amati e conosciuti, dove hanno un loro ruolo. Abbiamo allora cominciato a cercare di capire come fare per realizzare questo progetto, la casa per gli scartagonisti. Ristrutturiamo alcune stanze da catechismo nel sottotetto della nostra parrocchia, con nessun finanziamento statale – precario più di quello della Provvidenza, anche sull’esempio di Cottolengo… non chiedete una lira a nessuno.
Scoperchiarono il tetto per calare il paralitico: il vangelo che mi inchiodò e che mi aprì la testa. Pensai che il catechismo si poteva fare altrove. Ci saranno otto stanze dove, dal 2018, abiteranno 5 persone con disabilità. Abbiamo trovato due consacrate che saranno riferimento per i residenti ma coinvolgeremo anche la parrocchia e i parrocchiani.
Sarà bello perché sarà un segno, tanti segni: sopra l’altare, al centro della Chiesa, nel suo cuore. Sopra l’altare, sopra l’Eucarestia celebrata e incarnata, nel tabernacolo e condivisa nella fraternità. Cuore pulsante della comunità. Renderà protagonisti gli scartati. Sarà un segnale forte al quartiere, anche a chi non crede, alla comunità civile, un modo concreto di annunciare il Vangelo, per coinvolgere quanti di buona volontà”.
Gli chiedo se sia stato facile avviare l’idea… “Bella cosa, vai avanti… ma alla fine ce la dobbiamo sbrigare da soli. Sono tante le questioni burocratiche da affrontare. Non sfrutteremo i finanziamenti della legge 112/2016 perché volevamo fosse un’iniziativa autonoma parrocchiana ma gestita dalle famiglie. Le due suore Salesiane del Sacro Cuore che faranno da riferimento sono state provvidenziali. Abbiamo fatto tanta fatica a trovarne tra laici e consacrati e avevo quasi disperato ma poi è arrivata la loro disponibilità.
Prevediamo un percorso di adattamento per i futuri abitanti ma la parrocchia è già casa loro, ne sono protagonisti con il loro ruolo in oratorio, responsabili delle processioni offertoriali della liturgia dei giovani…”.Un atteggiamento così ha aperto il cuore di molti e tanti ora hanno più facilità a interpellare la parrocchia e a coinvolgersi. “Tutto questo ci apre ad una conversione ordinaria; quando si comincia è molto più facile aprirsi alle necessità della parrocchia. Finalmente si sentono a casa. Ciascuno con le proprie disabilità, si sentono a casa, in famiglia: questo è quello che vogliamo per la comunità cristiana.”
a cura di Cristina Tersigni, 2017
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.138