La Chiesa, sottolineava don Andrea Lonardo, battezza senza distinzione di età, salute, capacità cognitiva, condizione sociale… perché sa che la Grazia che ne deriva è fortemente necessaria all’essere umano; quel Battesimo racchiude una promessa di salvezza che offre dignità a prescindere dalle abilità che possiamo avere e o no.
Ma impegna la comunità ad essere pienamente solidale nelle varie esperienze che la vita ci chiama a vivere e la disabilità, ricordava nella medesima occasione il dott. Riva dell’Ass.ne l’abilità, non è una malattia che richiede solo risposte ad hoc, ma una condizione umana che richiede molte risposte ordinarie. Risposte ordinarie e solidali sono anche quelle per cui quest’associazione è riuscita a creare una rete di famiglie che supportano altre famiglie per un tempo di sollievo, ad esempio nel fine settimana, prendendo con sé il figlio con disabilità. E continuava sottolineando che, alla sofferenza ineludibile che pervade i genitori al primo comunicato della problematiche del figlio, l’unica possibilità è provare a dare un significato a quella sofferenza: e questo significato non basta sia il medico o lo psicologo o l’insegnante a darlo… occorre sia anche dato dagli amici e dal resto della comunità (“da un prete, da un amico”, chiedeva appunto una mamma), come fratelli più che come volontari.
Perché l’identità di quel bambino e della sua famiglia abbia il suo significato, la sua narrazione, il suo tempo e il suo spazio, nella storia di salvezza di cui facciamo parte.
Cristina Tersigni, 2017
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.137