La parte più convincente, che è poi il paradigma della trama, è l’incontro casuale ma forzato tra un uomo di successo con l’indole al guadagno facile ed uno degli ospiti dell’Istituto don Guanella di Roma.
Da un’iniziale distanza fisica e morale si avvierà un percorso che diventerà esistenziale, metafora del perdersi per ritrovarsi. Sorprende notare, ma forse neppure troppo, come tutti i personaggi che interagiscono con i protagonisti con disabilità abbiano alle spalle un proprio personale dolore, quasi a dire che la felicità non richiede competenze, è immediata da comprendere, mentre il dolore ti chiede spazio, tempo, silenzio.
Dopo diversi ostacoli il risultato sarà l’opportunità di saper leggere la fragilità come opportunità per sé stessi e l’aver creato legami che saranno per la vita. I dialoghi a volte non sono in grado di descrivere fino in fondo quella semplicità che confonde i sapienti, mantenendosi più sulla fragilità che intenerisce e commuove.
Un tentativo coraggioso tutto sommato ben riuscito.
Marcella Potenza, 2017
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.137