A Genzano nell’ottobre scorso, i familiari e gli amici delle comunità Fede e Luce del Centro Italia (Kimata) si sono incontrati con alcuni esperti per approfondire gli argomenti e alcuni aspetti tecnici della legge sul Dopo di Noi in una Giornata di formazione dal titolo Issate le vele!
La sala era piena, genitori, anche dei meno tradizionalmente presenti, e amici. Tanti. E di questo sono stata e sono felice. Perché la sfida che è stata lanciata, quella di dedicare una parte di un week end di formazione al delicato argomento del «dopo di noi» secondo me, basandomi non solo su idee quanto soprattutto sulla mia esperienza personale, doveva avere un uditorio composto anche di amici; quegli amici che non ti forniscono soluzioni ma sanno prenderti per mano nel momento in cui devi affrontarle. Va da sé che più le decisioni sono delicate o radicali più la mano deve essere forte e consapevole. Quel sabato mattina c’erano persone specializzate e profondamente competenti, per professione e ruolo, pronte a parlare. Come avrei potuto introdurle? Introdurre così, quasi a gamba tesa, un argomento che va a colpire le pieghe più profonde dell’animo delle nostre realtà familiare? Ho deciso di farlo così, da sorella, da amica, da figlia. Perché questo sono dentro la mia comunità e dentro Fede e Luce.
E così mi è venuto in mente il cammino della nostra barca, che ha compiuto un tragitto ricco e lungo, non solo e non tanto per i quaranta e passa anni di vita qui in Italia, quanto per il sapersi trasformare in una barca che raccoglie un’intera provincia fatta di realtà culturali e sociali diverse tenute insieme dagli stessi ideali e principi e – infine – in un invito ad issare le vele verso il futuro.
Sono quindi inciampata in quel buco nero fatto di paura, una paura che paralizza talvolta, di non detto, di ignoto. Quel buco nero che fa tremare chiunque, a maggior ragione chi è su quella barca, senza esclusione di ruoli. Familiari, ‘ragazzi’, amici. Sottolineo il ruolo dei familiari, perché il dopo di una persona speciale abbraccia tutta la sua famiglia, come la abbraccia il durante; sottolineo nuovamente il ruolo degli amici, insostituibile sponda emotiva. Quel buco nero del «dopo di noi» è problema noto, e già il Cardinal Martini, attento e raffinato interprete di tante sfaccettature del mondo della disabilità oltre che reale amico di Fede e Luce ne parlò con chiarezza nella prefazione a Nella stessa barca «Tra le preoccupazioni più grandi per i genitori c’è quella per il “dopo di noi”. A chi affidare le vite dei nostri figli e dove? Chi li amerà e li aiuterà come abbiamo fatto noi, proteggendoli dai pericoli? Chi potrà comprendere davvero il loro dolore che non riescono a comunicare? Come vivranno il passaggio alla vita di famiglia, abituati come sono alla loro casa, alla loro camera, ai loro oggetti? Tutte domande inquietanti, cariche di sofferenza e di angoscia, alle quali possono venire in aiuto la testimonianza e l’esperienza altrui. In certi casi però questo non basta, perché a problemi concreti bisogna dare risposte concrete; tuttavia chi si trova in difficoltà spesso non chiede esattamente una soluzione, bensì qualcosa di più personale, cioè la vicinanza e l’amicizia quali segno di vera condivisione». Era l’agosto del 2001.
Oggi c’è una Legge che porta quel nome e sulla quale dobbiamo tutti riflettere e informarci perché ciascuno di noi ha un ruolo in essa. Ritengo che il senso fondamentale sia tutto qui: fare in modo che ciascuno prenda il largo, issi le vele, ciascuno con le proprie forze e con le proprie possibilità, ciascuno con il proprio ruolo, il genitore, il fratello, la persona con disabilità, gli amici. Può sembrare paradossale ma la Legge, ben letta, ci invita a rispettare la volontà e l’inclinazione dei nostri figli/fratelli/amici speciali, invitandoci a seguire quell’istinto di natura, che spinge la mamma uccello a far spiccare il volo al proprio piccolo. Prendere il largo, spiccare il volo, issare le vele, fare della propria vita un luogo in cui essere protagonisti.
A me lo ha insegnato mio fratello Raffaele, il mio fratello speciale, il quale, malgrado in embrione e sottaciuti ci fossero vaghi progetti sul suo futuro solitario e triste all’ombra di badante e sorelle, ha deliberatamente deciso di andare a vivere in una casa famiglia.
Quando lo chiese mi sono sentita in colpa, ho avuto paura, ho ingiustamente pensato che non ci fosse margine per una sua decisione autonoma. Sbagliavo e me ne vergogno; da allora ho cambiato rotta anche nei suoi confronti.
Ma se io ho retto emotivamente a quel distacco, se ce l’ho fatta a dare con il mio becco una spinta a quell’uccellino più adulto di me, è perché Enrica, Giovanni, Alberto, Matteo mi hanno aperto gli occhi, facendomi capire la libertà di quella scelta, il rispetto per quel cammino, un rispetto che mio fratello stava in qualche misura dando a me e non tanto io a lui. Mio fratello mi stava insegnando che si può cambiare vita e per capirlo ho avuto bisogno degli amici di Fede e Luce. Mi hanno fatto vedere che la scelta di libertà e autonomia era il più grande insegnamento di vita tra i tanti che mio fratello mi stava dando.
Ricordo le cene a casa Nucci, e all’amorevole saggezza di Giorgio cui dedico queste poche righe.
Letizia Lanzetta, 2018
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.140