All’inizio di questa nuova vita tra me e Simona si è creata una fusione completa. Io, come ogni genitore, ero convinta dell’eccezionalità delle sue doti, a tre mesi di vita, sentendo un mugolio ero certa che avesse pronunciato la parola mamma. In realtà volevo soddisfare solo le mie aspettative e non rispettavo i ritmi di crescita di Simona.
Dopo i primi anni che vivevamo questo pericoloso incantesimo, con l’inizio della scuola materna mi sono resa conto delle difficoltà che mia figlia aveva sia nell’apprendimento che nei rapporti con i suoi coetanei. Ho provato un profondo dolore. Non riuscivo a trovare le parole per gridare la mia rabbia. Il mio istinto materno mi portava a proteggerla dal mondo esterno; volevo evitarle le delusioni della vita e invece che alimentare i suoi sogni, i suoi desideri li stavo spegnendo.
Poi, grazie all’aiuto di persone speciali, ho capito che se ci capita qualcosa che ci appare doloroso, dobbiamo reagire, non mollare. Un figlio per una madre è sempre speciale anche se non è il primo della classe.
Con l’accettazione della disabilità di Simona, il nostro modo di vivere è cambiato così come l’atteggiamento degli altri nei nostri confronti.
Simona libera dalla chiusura e dall’isolamento protettivo in cui, in buona fede, l’avevo costretta a vivere, ha iniziato a fare i primi passi da sola, a guardare in faccia la vita con tutte le sue sfaccettature, a prendersi cura di sé, a superare le proprie insicurezze, a controllare la propria ansia, a credere in se stessa. Naturalmente lei è consapevole che nei momenti di difficoltà la mamma c’è sempre.
Decisivo nel nostro percorso di crescita è stato l’incontro con la comunità di Fede e Luce.
All’inizio io ero un po’ titubante perché temevo che un gruppo di persone e famiglie con problemi non mi aiutasse a superare la difficoltà di far crescere ed educare una ragazza disabile. In realtà ho dovuto ricredermi ed ho maturato la consapevolezza che il confronto con gli altri è fonte di ricchezza e idee; non importa quanto abile o disabile sia l’altro.
Ognuno è portatore dei suoi sogni, delle sue possibilità o anche dei suoi limiti. È comunque uno di noi, parte di una Comunità che vede nell’altro un valore e non uno strumento per realizzare personali aspettative o desideri.
Mia figlia, all’interno del gruppo ha avuto l’opportunità di conoscere persone in grado di comprenderla ed accettarla. Di stabilire rapporti privilegiati che l’hanno sostenuta nei momenti di particolare fragilità e al contempo anch’io mi sono sentita supportata e sollevata.
Abbiamo insieme vissuto esperienze di comunità interessanti e serene che hanno aiutato sia me che mia figlia a socializzare e relazionarci con persone diverse da quelle normalmente frequentate. Simona adesso ha una rete di rapporti umani che la sostengono e di conseguenza il nostro rapporto si è alleggerito dal peso dell’esclusività. Molte persone della Comunità sono entrate a far parte della nostra vita regalandoci momenti anche di spensieratezza e allegria.
Franca, 2016
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.136