È significativo che, in questa occasione giubilare, parta da qui l’annuncio della Misericordia a tutti quelli che si vogliono avvicinare. Mentre un gruppo di Pescara (dal suggestivo nome “Vi è stato dato un segno”) anima i canti con l’energia necessaria per coinvolgere tutti accompagnandoli con i segni, si prega in adorazione davanti al Santissimo; a guidare poi la riflessione è padre Cyril Axelrod, 74 anni, della Congregazione dei Padri Redentoristi, nato sordo e divenuto cieco 16 anni fa.
Non è spento il sorriso nel suo volto, anzi, ha una radiosità intima e capace di penetrare il cuore di chi gli è accanto. La sua è una vita piena: viaggia moltissimo nonostante le sue evidenti difficoltà, annunciando con gioia che “nessuno può sentirsi escluso dall’amore di Dio”. Prendendo alla lettera, avendola vissuta in prima persona, la parola del profeta Isaia: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi” e ancora “ In quel giorno, i sordi udranno le parole del libro e, liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno“. Conosceva bene questa parola: nato ebreo in una famiglia ortodossa nel Sudafrica del 1942, venne educato in una scuola di religiose domenicane, l’unica che dava possibilità di istruzione ai bambini sordi. La famiglia osservante temeva un indottrinamento cattolico e il padre, per compensare in mancanza di alternative, attrezzò la comunità ebraica perché insegnasse i principi religiosi anche ai bambini ebrei sordi.
L’incontro con la Torah e il Talmud appassionò così tanto Cyril da fargli chiedere di poter frequentare la scuola rabbinica che però, scoprì allora, non concede alle persone con disabilità di divenire rabbino.
Nonostante la delusione, l’amore per la Parola di Dio non si spense e il desiderio di approfondirla rimase vivo; dopo qualche anno, visitando per caso la cattedrale di Cape Town, qualcosa nel suo cuore si cominciò a muovere: Dio aveva scelto per lui un altro sentiero.
Sarà consacrato sacerdote nel 1970, terzo nel mondo tra le persone sorde. Paolo VI, nell’incontrarlo poco tempo dopo, lo benedice e gli dice: “Và e predica l’amore di Dio alle persone sorde”. Da allora, dopo aver svolto attività tra sordi e normodotati ed essere poi entrato nella comunità dei Padri Redentoristi, è stato missionario in terra sudafricana negli anni terribili dell’apartheid, a Soweto, uno dei luoghi più critici. Poi in Cina, nelle Filippine, a Honk Kong… comunque in giro per il mondo per realizzare quella parola. Nonostante la cecità progressiva, provocata dalla sindrome di Usher, è proprio quando la vista si fa più debole che il suo padre generale gli chiede di andare in Cina; conoscendolo e ascoltando le sue perplessità in proposito, lo rassicura dicendogli: “la vista non sarà un tuo problema. Sarà un problema di Dio”.
Tutto questo vissuto (la maggior parte del quale scopro a casa, incuriosita da quest’uomo) passa attraverso le parole della breve catechesi: lui parla alla platea segnando con le mani tra le mani di un’interprete di lingua tattile dei segni, che a sua volta è tradotta da un interprete convenzionale di lingua dei segni. Ascolta con le mani le domande che gli vengono rivolte. Come lui, altri pellegrini tra i banchi della chiesa fanno lo stesso.
Ci dice che è felice di essere qui. Di poter annunciare che è importante insegnare il catechismo a tutti.
Ci racconta i modi che utilizza perchè la celebrazione della messa sia percepibile anche da chi, sordo e cieco, è affetto anche da una disabilità mentale grave. Ci spiega che braille, lingua tattile e dei segni sono doni dello Spirito Santo ma anche che non sono la sola risposta per la maturazione nella fede. Sa che tanti vanno alla messa segnata ma non è sicuro di quanti comprendano in profondità. Quando incontra persone sorde è felice perché, dice, “ci capiamo”. Si rende conto che trovarsi di fronte ad un sacerdote sordo può essere importante per crescere, rappresentando un possibile modello. Secondo lui è importante che la Chiesa lo capisca: permettere che persone con una disabilità divengano sacerdoti è una catechesi in se stessa. Ci dice che dobbiamo trovare il modo migliore per ciascun bambino per farlo avvicinare a Gesù e ai sacramenti. La mamma di una ragazza sorda con una disabilità mentale gli confida le difficoltà per far accettare che la figlia si avvicini ai sacramenti, e lui continua: “Gesu è per tutti! Ci si deve preoccupare di dare la Comunione, non solo parole”.
Il suo è un discorrere chiaro, essenziale, necessariamente sintetico: va al cuore degli argomenti che tocca e al cuore delle persone che lo ascoltano guardandolo.
Padre Cyril ti convince davvero quando risponde alla domanda su quale sia la più bella esperienza della vita che porta nel cuore. Lui, senza alcuna esitazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, allargando le braccia e sorridendo, dice: “Dio!”. In lui, quella antica parola di salvezza, nonostante la fragilità della sua condizione, è riuscita a rivelarsi in pienezza.
Cristina Tersigni, 2016
Alcune informazioni sono tratte da Mondo e Missione, 10/06/2016
Padre Cyril Axelrod ha scritto un libro nel 2009 in cui racconta la sua vita, «And the Journey Begins» («E il viaggio comincia»), non tradotto in italiano.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.134