“Sai, noi siamo i più belli”
Cari amici,
questo piccolo articolo vuole essere una piccola riflessione e considerazione in merito alle emozioni che io provo ogni giorno in seno alla mia famiglia. Ho una figlia di 47 anni cerebropatica e poiché sono abbonato da diversi anni a Ombre e Luci, trovo nel giornale la forza di tirare avanti.
Voglio ricordare in questa occasione la figura di una grande donna ed una cara amica di Fede e Luce, Mariangela Bertolini. Leggevo sempre i suoi editoriali e nelle sue parole trovavo stimoli che mi incoraggiavano e rafforzavano la volontà a superare le difficoltà quotidiane. Un articolo che lei ha scritto e che ricordo con vero piacere è: Bellezza e disabilità, ove ci spiega bene la relazione che intercorre e unisce la bellezza alla disabilità. Bellezza intesa come gratitudine e riconoscenza verso l’amore profuso nell’aiuto alle persone in difficoltà. L’articolo termina con le domande che fa una ragazza down alla propria mamma: Mamma perché tutti per la strada ci guardano? La mamma con una piccola lacrima risponde: Sai noi siamo i più belli.
Le parole della mamma emozionata tendono a far coraggio alla figliola.
Anch’io ho provato emozioni un po’ diverse con mia figlia. Stavo seduto a leggere un giornale, quando mia figlia si avvicinava e mi dava delle pacchette sulla spalla. La cosa si è ripetuta diverse volte e ad un certo punto con serenità le dico: Peppuccia sei monella. Son passati pochi secondi che è venuta ad abbracciarmi e le sue labbra non si staccavano dal mio viso. Qui sta la bellezza, nel riconoscimento che lei ha valutato per le cure e l’assistenza che diamo, e col bacio ha voluto riparare. Bellezza nella disabilità è gratitudine e affetto che riceviamo e ciò ci rafforza lo spirito e aumenta il sentimento della fede.
Mimmo Sinacori, Nuovo Germoglio,Mazara del Vallo
Ho bisogno di fare amicizia
Mi chiamo Emiliano, ho quasi 42 anni, non ho avuto molti amici e nessuna esperienza con le donne. Nel 2008 in un pomeriggio di settembre entrai in una scuola di ballo. Lì incontrai Marco, coreografo, ballerino e fondatore della scuola, lo salutai e gli chiesi “Ho bisogno di fare amicizia” e lui mi rispose “Sì, balli con gli altri e fai amicizia” me ne andai contento. C’erano le lezioni gratuite di dimostrazione e poi ho cominciato a frequentare la scuola nel corso di salsa principianti. Ho conosciuto molte persone in particolare due sorelle di cui una di loro mi piaceva moltissimo mi ricordo che uscivamo qualche volta con il gruppo del ballo e stavamo bene, poi improvvisamente le cose hanno cominciato a declinare, mi hanno fatto prendere un treno da solo e sono andato a Bologna con la febbre facendomi spendere 400 euro per un pacchetto di viaggio ma del mio gruppo non ha partecipato nessuno perché il pacchetto era solo per gli istruttori… dopo la lezione faccio la corte a questa ragazza scrivendogli una lettera d’amore e regalandole un pensierino. La mattina dopo quando mi sveglio vedo un messaggio sul mio cellulare, scrivendomi un poema mi ha detto che stava con un altro io ci sono rimasto molto male, non mangiavo e non dormivo neanche….ho perso il mio entusiasmo per il ballo…anche in parrocchia ho dei ricordi spiacevoli, quando ero piccolo e andavo a catechismo e a scuola mi facevano un sacco di dispetti perché sono una persona fragile. Dal 2014 sto con Fede e Luce e devo dire che mi trovo benissimo, ho cominciato piano piano ad ambientarmi con gente semplice una o due volte al mese. Ci vediamo, facciamo casetta o andiamo a mangiare da qualche parte tutti insieme. La cosa che mi piace di più sono i campi estivi perché non vedo l’ora di fare le valigie e partire. Per questo voglio ringraziare il Signore e spero di trovare una ragazza o una donna che risani il mio cuore spezzato e mi accetti per quello che sono e non per quello che ho.
“Vieni qui, che ti do un bacio!”. Quante volte ce lo ha detto Teresa ed era l’occasione di un morbido abbraccio, carico di affetto. Teresa era così, un concentrato di tenerezza e di amicizia, un cuore grande aperto a tutti, capace di incontrare anche le persone che più si chiudono in loro stesse.
Teresa Belmonte ci ha lasciato lo scorso 25 settembre, provata da anni di sofferenze sempre più difficili da sostenere. Un passaggio difficile per il marito Gianni Muia, i figli Stefano e Roberto, per tutti noi delle comunità lombarde e non solo. Chi è in Fede e Luce da parecchi anni porta nel cuore mille ricordi, ma anche chi è arrivato da poco la conosceva bene perché Teresa, con Gianni, è sempre stata presente, anche quando la salute le giocava brutti scherzi.
C’era ai primi campi estivi, a Capizzone, a Broni, negli anni Ottanta, fino all’ultimo Cesenatico, quando la sofferenza è stata più che evidente. C’era ai pellegrinaggi, persino sotto la pioggia a Sotto il Monte nel marzo scorso per varcare la porta santa nel Giubileo della Misericordia. C’era alle giornate che riunivano tante comunità. Il suo sorriso lo ricordano gli amici di Roma come quelli del Sud, che ha conosciuto a Fatima dove ha voluto arrivare nonostante mille fatiche nel 2012, e al pellegrinaggio nazionale del 2015, all’incontro così toccante con papa Francesco.
C’era, non in modo banale, ma presente con tutta se stessa. Piano piano, è diventata per tutti “Mamma Terry”: tanti ragazzi e anche tanti amici avevano iniziato a chiamarla mamma, perché la sua vocazione era proprio questa, essere madre. Madre che accoglie con il suo abbraccio, che fa giocare, che ascolta e sa indicare le parole giuste quando è facile perdersi.
L’ultimo saluto, nella chiesa milanese di San Vittore al Corpo, è stato triste e dolce allo stesso tempo. C’è stato modo di dirle grazie per la sua risata contagiosa, la sua porta di casa sempre aperta, i piatti cucinati con passione, per la sua capacità di indicare Gesù come bussola della sua vita, l’amico prezioso che è il primo da invitare a ogni incontro. Cugini e fratelli hanno raccontato la loro Teresa, persona bella, capace di dare tanto a tutti quanti. E un amico sacerdote ci ha rivelato anche quanto aiuto avesse dato ai bimbi africani, cui donava denaro, materiale scolastico, giocattoli.
Teresa ci ha lasciato un grande insegnamento anche nei giorni più cupi, appellandosi sempre al valore dell’amicizia, al nostro essere una grande famiglia in cui ciascuno ha un posto importante e insostituibile. Ora la pensiamo nella comunità che si è formata lassù, con Pinuccio, Stefano (che le ha parlato in sogno negli ultimi giorni), Luca e tanti altri.
Ciao mamma Terry, vivi la pienezza della vita col tuo sorriso che dona gioia.
Angela
Potrò mai…?
Conosco un Daniel che ha 16 anni: non può e non potrà mai alzarsi dalla sedia e camminare, non potrà mai pettinarsi o grattarsi la testa se gli prude perché fino a “lassù” con le mani non ci arriva; non potrà mai andare al gabinetto in pace; per tutto tutto deve chiedere a un’altra persona. Ogni tanto ha delle rabbie terribili e grida; spesso sta zitto e depresso o ripete tante volte la stessa cosa.
Perché?
Conosco un Ibra. Ha 17 anni. Sta sempre steso su una sedia a ruote che lo sostiene da tutte le parti. È alto, o meglio è lungo più di 1 metro e 70: muoverlo è sempre più difficile. La mamma, il papà, un aiutante gli fanno tutto tutto. Non ha mai potuto dire una parola, solo qualche strilletto. Né potrà mai.
Perché?
Conosco una Paola. Ha 8 anni. Vive in un letto tecnico. Non può, non potrà mai alzarsi, né dire una parola, né sentire il sapore di un cibo (è alimentata attraverso un Peg: tubino che va direttamente nello stomaco). Forse vede qualcosa. Non potrà mai respirare normalmente: ogni quattro/cinque minuti una macchinetta le aspira il catarro dalla gola, che altrimenti la soffocherebbe.
Perché?
Tanti anni fa Fede e Luce Italiana andò in pellegrinaggio ad Assisi. Venne Jean Vanier. Venne Carlo Maria Martini (grande uomo, vero cristiano, vescovo illuminato).
Il vescovo Carlo Maria cresimò una bambina cieca e sordomuta dalla nascita. Rivedo ancora dopo tanti anni la figura imponente con il mantello rosso da cardinale che tocca la fronte della bambina piccola bruna e tutti noi stretti intorno. Poi Martini lesse la pagina del Vangelo, con l’episodio del cieco dalla nascita e dei discepoli che chiedono: chi ha peccato? Lui o i suoi genitori? E la risposta misteriosa: né lui né i suoi genitori, ma è così perché risalti la gloria di Dio. Ma di che gloria parliamo?
Mi è poi venuta in mente una possibile risposta: che la gloria di Dio si manifesti nel grande fiorire di affetti (di amore) che tante volte vediamo manifestarsi attorno e insieme a queste persone ferite e che rende la loro vita degna di essere vissuta?
Non è questa una manifestazione di Dio che è amore?
Allora, Giovanni (probabilmente) non avrà una moglie, non avrà una bambina da coccolare. Ha però tante persone che gli vogliono bene; può guardare, ascoltare la musica, il vento, le voci, può carezzare un gatto… insomma “può” tantissime cose: la sua via per sentirsi contento, malgrado quel che non può avere o fare, è guardare quanto più spesso gli è possibile a quel tanto che può avere e godere.
Diceva Mariangela Berto-lini, con una figlia “molto ferita”, profeta per le persone “ferite” più o meno gravemente: quando andrò dall’altra parte devo fare delle domande al Padreterno! Ora è andata: credo che finalmente abbia la risposta certa a quell’immenso “perché?”.
Sergio Sciascia
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.136