Inizi caotici
L’Arca ha cominciato in maniera un po’ caotica. Da questo caos però è nata una diversa visione delle persone handicappate che si è diffusa in tutto il mondo.
Nel 1964 ero in visita, nel villaggio di Trosly-Breuil, nell’Oise, al mio padre spirituale, padre Thomas Philippe, cappellano di un piccolo centro di accoglienza per trenta uomini con handicap mentale Rimasi particolarmente colpito da questi uomini, soprattutto per il loro bisogno di relazione. Ho capito che queste persone, spesso chiuse tra le pareti domestiche o in rigide istituzioni, erano tra le più oppresse del mondo.
Visitando un’istituzione molto dura, ho conosciuto due uomini Raphael Simi e Philippe Seaux. Questo incontro è stata l’occasione per me per dare l’avvio all’Arca, perché il mio desiderio era di vivere con delle persone oppresse ed escluse, creando con loro una piccola comunità cristiana, fatta di gioia, di lavoro e di preghiera vicino a padre Thomas.
Con l’aiuto di un amico, abbiamo potuto comprare una casetta che non era affatto adatta per delle persone con handicap. Non c’era il bagno e tutto era molto primitivo. Ho acquistato un certo numero di cose in una comunità di Emmaus per la cucina e per arredare le stanze. Il mio desiderio era di vivere poveramente con dei poveri. È così che l’Arca ha cominciato, in grandissima semplicità ed anche con un po’ di “scompiglio”! Io stesso mi sentivo indifeso davanti a tutte le cose da fare nella casa e per Raphael e Philippe.
In seguito la gente attirata dalla gioia che vi regnava è venuta ad aiutarci All’inizio, era al momento dei pasti che la nostra gioia scattava. La base del nostro modo di vivere viene da un brano del Vangelo nel quale Gesù dice: “ Quando offrite un pranzo, non invitate i membri della vostra famiglia, i vicini ricchi, gli amici, ma quando date un banchetto, invitate i poveri, gli storpi, gli infermi e i ciechi e voi sarete beati.”
Tra noi lo scambio avviene su cose semplici e divertenti! Ciò che è importante è condividere la vita insieme.
È così che la storia dell’Arca ha avuto inizio. Dal caos è nata la vita!
La Comunità cresce
La piccola comunità dell’Arca, nel giro di pochi mesi ha accolto altre sei persone ed ha cominciato veramente a prendere forma ed a crescere. Certe volte ci si lamentava un po’per la qualità dei pasti, ma mai per l’allegria e l’atmosfera!
Dopo soli sette mesi dall’apertura del foyer dell’Arca, mi hanno chiesto di assumere la direzione del Val Fleuri, il piccolo istituto il cui cappellano era Padre Thomas Philipe.
Eccomi catapultato alla testa di un Centro di trenta uomini con deficit intellettivi… e nel contempo restavo responsabile della comunità dell’Arca dove mi recavo ogni sera per la cena.
Ed è là che ho scoperto il mondo degli istituti, della retta giornaliera, dei controlli contabili. Alla casa di Val Fleuri erano collegati dei laboratori che, con il giardino, davano lavoro a tutti. Bisognava gestire tutte queste cose. Fortunatamente qualche amico è venuto ad aiutarmi.
Tra i trenta ospiti accolti, molti erano più o meno agitati, alcuni violenti, sono stato così introdotto nel mondo della psichiatria.. Io cercavo soprattutto di far in modo che questo gruppo di Val Fleuri assumesse, poco a poco, lo spirito di una comunità.
Le difficoltà erano grandi, ma i benefici ancora di più, perché l’Arca, da sola avrebbe avuto difficoltà a crescere. Le autorità locali esigevano che ci fosse una fusione tra le due associazioni e una unificazione è stata fatta tra le due case. Alcune persone sempre più numerose – di cui molte dal Canada – sono venute ad aiutarci. Le reali difficoltà della vita quotidiana, hanno obbligato tutti gli assistenti e me stesso a crescere, assumersi maggiori responsabilità e trovare una propria collocazione.
Nel luglio del ’65, la Val e l’Arca hanno fatto un pellegrinaggio insieme a Lourdes e la Festa delle Porte Aperte. È stato così che progressivamente la Val ha cominciato ad essere contagiata da un certo spirito festoso…
Bisognava passare un periodo di prova e di difficoltà per vivere appieno il dono ed il mistero dell’Arca.
Sotto il segno dell’ecumenismo
Abbiamo a lungo cercato l’ecumenismo come scambio interreligioso: e nel 1969, lo abbiamo avuto.
Ho incontrato Steve e Anna Newroth ad una conferenza a Toronto. Si erano sposati da poco e lui era seminarista della Chiesa anglicana. Dopo la mia conferenza sull’Arca mi hanno chiesto di poter passare un anno nella nostra comunità. Il loro desiderio era quello di poter cominciare un’Arca in Canada. In seguito nel 1968, la responsabile di un ordine religioso a Toronto mi ha proposto per l’Arca una bella casa che non utilizzavano più, a Daybreak. Così è nata la prima comunità dell’Arca in Canada, una comunità nata sotto il segno dell’ecumenismo, scoprendone così le gioie e le pene Queste gioie e queste pene sono continuate attraverso le comunità sorte in Inghilterra, in Scozia, in Canada, negli Stati Uniti… In ognuna eravamo profondamente uniti nella vita in comune, la preghiera, i pasti, le feste, e il lavoro e soprattutto nell’amore che ognuno ha per Gesù. C’era questa gioia intorno alla nostra missione. Ma anche tristezza, grande tristezza, quando nel momento più bello e più sacro delle nostre giornate, noi non potevamo celebrare l’Eucarestia insieme.
Le persone con handicap provenendo da chiese differenti non potevano capire tali differenze e divieti. Queste differenze, queste esclusioni facevano male e ferivano i cuori.
L’ecumenismo come cammino di unità è molto bello, ma è nello stesso tempo difficoltoso.
Noi cerchiamo il nostro cammino, un cammino di verità e di vita per rispondere alla preghiera di Gesù : “ Che siano una sola persona”.
Un’espansione mondiale
Dopo la prima comunità in Canada, mi hanno invitato a tenere altri seminari in varie città del Canada e degli Stati Uniti. Le comunità si sono così moltiplicate. In molti si sono impegnati per far uscire uomini e donne con handicap dai grandi istituti e farli accogliere nelle case del’Arca.
Sono nate così comunità dell’Arca a Bangalore (India) ad Haiti e poco tempo dopo un’altra in Costa d’Avorio, una in Honduras e poi un’altra in Burkina Faso. E poi fu la volta dell’Italia, del Belgio, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Spagna… E in seguito sarà il Brasile, l’Australia, il Giappone.
Con questa espansione si poneva la seguente domanda: come sostenere queste comunità e aiutarle ad essere fedeli alla missione dell’Arca, come mantenere l’unità dell’insieme? Abbiamo così organizzato ogni due o tre anni un’assemblea internazionale in cui si ritrovano tutte le Comunità riconosciute.
Una delle prime funzioni di questo Consiglio è stato di scrivere la Carta dell’Arca che definiva la nostra missione e specificava il posto delle persone con handicap all’interno della comunità. Questa prima Carta rivelava una visione cristiana, e questo ci ha messo un po’ in difficoltà per le nostre comunità in India ed in seguito in Palestina…Un’altra Carta è stata scritta per queste comunità interreligiose.
All’inizio dell’Arca, una comunità poteva partire molto rapidamente, eravamo tutti spinti da grande “amore”: facevamo anche degli errori, occorreva pian piano imparare.
Dio ci guidava attraverso questa rapida crescita e la sistemazione delle strutture: non eravamo altro che poveri strumenti. L’Arca non era opera nostra, ma l’opera di Dio che ha scelto i deboli ed i folli per confondere i potenti ed i sapienti” (1 Cor 1,27) . L’Arca è cresciuta passo a passo, senza che questo fosse pianificato e organizzato.
Una visione comune
Nel 2002, c’erano un centinaio di comunità dell’Arca nel mondo. L’unificazione dell’insieme avveniva intorno alla mia persona; ero in contatto con tutti i fondatori ed i membri dei consigli di amministrazione. Ma era necessaria anche un’ unità di visione delle comunità. Abbiamo così elaborato una nuova Carta, unica, ma dava l’impressione che ad unificare l’Arca fosse la visione spirituale, religiosa. Così è diventato evidente che bisognava chiarire ciò che ispirava e univa tutti. Ed è così che è nato il percorso “Identità e Missione”. Ogni Comunità nel mondo è stata invitata a precisare il suo scopo e la sua ispirazione, attraverso dei questionari somministrati in particolare a tutti gli assistenti che operavano da lungo tempo.
Questo lavoro è durato tre anni. Le riflessioni e le risposte alle domande sono state messe insieme. Così ne è scaturita una riflessione comune che esprimeva il pensiero di tutte le nostre comunità. Il risultato comunicato all’incontro internazionale di Assisi, nel 2005, è stato questo: L’Arca è il luogo di una relazione che trasforma e diviene segno per il mondo.”
L’effetto di questa inchiesta ha portato una grande unità, realizzando in tal modo ciò che fanno le persone con handicap all’interno dell’Arca: trasformano gli assistenti, li aiutano a diventare più umani e più vicini a Dio.
Ciò che unisce le nostre comunità e tutti noi che ne facciamo parte, è il desiderio di essere uomini e donne compassionevoli. La compassione infatti non è solo per fare del bene a qualcuno più debole, ma è farle sentire che è una persona importante, molto preziosa, un figlio di Dio.
Molti di coloro che stanno all’Arca non sono cristiani, molti non hanno alcuna idea della fede, ma sono generosi ed hanno molto cuore. È attraverso la loro bontà e la loro compassione che diventano più umani e più vicini a Dio
L’Arca è un luogo profondamente umano. San Paolo dice che amare significa essere molto pazienti, è servire, non mettersi avanti, trovare la propria gioia nella verità, è scusare tutto, credere tutto, sperare tutto e sopportare tutto. L’Arca è una buona scuola di amore.
Jean Vanier
tratto da Ombres & Lumière nn. 198-199-200-201-202
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.130