Si tratta della festa nella festa. Perché Fede e Luce mette al centro dell’incontro i ragazzi, le persone con handicap mentale, con le famiglie e gli amici proprio nella gioia di un incontro e per usare le parole di Jean Vanier :“La festa deve continuare fino a che ogni persona handicappata non avrà incontrato una comunità dove senza essere specialisti, ma semplicemente cristiani, si impari a scoprire e a vivere insieme la straordinaria Buona Novella di Gesù”.
Deve continuare affinché le parole profetiche dei nostri fondatori possano vivere ed ogni ragazzo con difficoltà, insieme alla famiglia e agli amici, possa avere la possibilità di avvertire quei doni che lo Spirito infonde nei cuori: l’amore, il desiderio di accoglienza, la disponibilità, la comprensione, la pazienza. Si tratta di doni invisibili, grandi, importanti che i membri delle nostre comunità sentono di ricevere gratuitamente e che colmano i loro cuori di gioia ed amore reciproco. J. Vanier ci aiuta a capire meglio cos’è Fede e Luce: una comunità di incontro in cui i ragazzi con handicap sono i protagonisti di un’avventura speciale che ha come autore lo Spirito Santo.
Il carisma del movimento di Fede e Luce può essere identificato nel discorso delle Beatitudini fatto da Gesu’ alle folle sulla montagna (Matteo 5,3-12).
Nei “doni” delle Beatitudini notiamo l’apparente paradosso: ecco che la sofferenza produce speranza, la solitudine può diventare condivisione, l’afflizione diventa consolazione. Allora la sofferenza che i papà e le mamme conoscono molto bene, diventa mezzo di trasformazione nel cuore e nel corpo.
Come il ferro che viene dapprima forgiato ad alte temperature, per dare una forma al metallo, e che poi viene temprato per renderlo resistente ed indistruttibile, così i genitori con il tempo loro necessario, possono riuscire ad affrontare il mistero della trasformazione della sofferenza in amore, gioia e condivisione.
Il rapporto degli amici con la sofferenza è diverso, ma altrettanto diretto ed immediato, perché li accompagna alla scoperta di una nuova dimensione del senso della vita, orientandola verso l’essenzialità, l’ascolto, la condivisione, la gioia dell’incontro.
Fede e Luce ha, dunque, il grande compito di testimoniare la sofferenza e la sua trasfigurazione in qualcosa di più importante e significativo per la nostra vita.
Essere testimoni è un compito impegnativo che coinvolge tutti gli aspetti della propria vita.
Una famiglia che accoglie nel proprio grembo un figlio disabile conosce bene il dolore che può creare solitudine, chiusura, paura di chiedere, mancanza di aiuto, difficoltà e disperazione.
Ci sono molti casi in cui i genitori riescono a prendere in mano la propria vita, dando significato alle situazioni, alle esperienze, alle opportunità, diventando testimoni di quella trasfigurazione vissuta da Gesù.
Una testimonianza tra tutte è quella di Mariangela Bertolini e della sua famiglia. Sono stati in grado di “trasfigurare” la sofferenza in speranza e gioia, testimoniando a tante famiglie ed annunciando instancabilmente e con tenacia lo spirito di Fede e Luce in tutta Italia e non solo. La sofferenza è diventata accoglienza, la difficoltà è diventata faro nel mare in tempesta per tante famiglie.
Un incontro prezioso
Circa 20 anni fa, ho conosciuto ad un incontro speciale Lucia, una ragazza con una disabilità molto grave e con lei ho conosciuto la sofferenza.
Questo incontro mi ha proiettato in una nuova dimensione della vita, mi ha fatto capire e discernere quali fossero i valori più importanti ed essenziali, facendomi riscoprire la vita in una nuova profondità. Le serate pazze in discoteca, così come tanti altri divertimenti, iniziarono a perdere il loro valore, mentre la mia attenzione si rivolgeva sempre più verso altri interessi, riconoscendo cosa fosse più autentico e sano. Ebbene, anche in questo caso, la sofferenza ha provocato cambiamento, ha provocato quella trasfigurazione di cui parlavo prima.
Ho iniziato una nuova avventura, fatta di nuovi amici e di nuove relazioni. Nella comunione con la sofferenza ho trovato la gioia della condivisione.
Ho scoperto un tesoro inestimabile, che dovevo necessariamente condividere e comunicare, per mettere al servizio degli altri ciò che ho ricevuto in modo gratuito e che non potevo tenere solo per me stesso. Così, anche quando è arrivato il momento del mio matrimonio con Angelica, non potevo non condividere questa gioia con i miei amici, anche se in difficoltà. Allora, ho deciso di invitare tutta la comunità alla mia festa di nozze, ricevendo allegria, sorrisi, compagnia, canti e balli, come a un campo estivo, rendendo unico quel momento.
Come l’uomo che nel Vangelo di Matteo (13, 44), trovato un tesoro in un campo, vende tutto quel che possiede per averlo, così il compito autentico dei messaggeri della gioia si manifesta nell’annunciare una luce che libera dalla tristezza e dalle paure illuminando il senso della vita in tutte le sue sfaccettature di colore, come un arcobaleno che dà speranza nel continuare il proprio cammino di fede.
Abbiamo davvero tanti tesori nascosti, che non dobbiamo tenere per noi, ma valorizzare e portare a tutti coloro che ancora oggi vivono nell’angoscia e nella sofferenza.
Una grande responsabilità a cui non possiamo sottrarci: è nostro dovere essere veri missionari della gioia, di quella gioia che in Fede e Luce diventa salvezza e speranza.
Paolo Tantaro, Presidente Nazionale Associazione Fede e Luce Onlus Salemi – Mari e vulcani
Come avviare una comunità
Prendiamo due o tre persone, armate di buona volontà, di coraggio e di perseveranza, che abbiano il desiderio di “fare qualcosa”, probabilmente perchè legate da qualche filo- o corda- al mondo della disabilità mentale (un genitore, un amico, un sacerdote), che abbiano conosciuto da altri l’esperienza della comunità, che siano stati invitati ad ascoltare una conferenza di Jean Vanier, letto un suo libro e che abbiano scoperto nel messaggio di FL lo spirito che fa per loro. Queste persone cominciano a spargere la voce tra quelli che ritengono potenzialmente interessati, magari nella loro parrocchia se c’è l’appoggio del parroco. Oppure cominciano con il frequentare una comunità vicina e già avviata: conoscere altri è sempre un aiuto per avviare un cammino come questo. Potranno organizzare qualche incontro per approfondire quali scopi può avere una comunità simile; potranno leggere i documenti che ne aiutano a capire lo spirito, ascoltare la testimonianza di chi vive l’esperienza di Fede e Luce.
Meno frequente, ma possibile e auspicabile, che una o più persone di una comunità già avviata decidano di “moltiplicare” – più che dividere – l’esperienza e portarla in un’altra parrocchia o in un’altra realtà.
Piano piano la voce si sparge e a quel punto da quattro si passa a otto; da otto a sedici, ed ecco che la comunità è già partita!
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129