Vorrei condividere innanzitutto “un dono”, la ricchezza dei nostri preziosi Orientamenti: Incontriamo Gesù. La parola “disabilità” è apparentemente poco presente, tanto da far pensare a una dimenticanza. Se invece si legge attentamente il documento, ci si accorge del nuovo sguardo che i Vescovi propongono a tutta la realtà ecclesiale su questo tema. Infatti, l’idea pervasiva del documento, è di ripensare alla catechesi in un’ottica inclusiva, dove l’appartenenza alla dimensione ecclesiale coinvolge tutti quindi anche le persone disabili e le loro famiglie.
Una realtà questa che è possibile ritrovare in maniera trasversale in vari punti del documento: nella descrizione delle realtà fragili, nell’attenzione e cura pastorale, nei poveri e negli esclusi, ma anche nella nuova visione di protagonismo della catechesi e dell’annuncio della fede e, infine, nella partecipazione piena alla vita della comunità delle persone disabili. Questo rinnovamento della catechesi intende coinvolgere, in un ampio lavoro di rete, la realtà delle famiglie, le Aggregazioni laicali, le Congregazioni religiose e tutte le altre alleanze educative (n. 93). Quindi voi! Faremo 4 passi insieme.
Abitare con speranza il nostro tempo: un nuovo impegno di evangelizzazione
La cultura contemporanea ‘liquida’ – come direbbe Bauman – o ‘dello scarto’, secondo Papa Francesco, ci pro-voca e ci dona un compito: far vedere a tutti “che nessuna persona è un tesoro da nascondere”. A volte quando si guarda i ragazzi-adulti disabili, anche in qualche parrocchia, si nota il limite, la fragilità, ci si basa sui segni esterni, mentre gli Orientamenti auspicano ad incontrare tutti per scoprire che l’altro non è il suo limite, la sua fragilità o la sua disabilità, ma che è “persona fratello” perché tutti abbiamo in comune l’essere persone creati a immagine e somiglianza di Dio (n.10). Se per tutti il dono della fede è l’incontro con Cristo, siamo esortati sempre più a far sorgere comunità cristiane che includano tutti, attraverso l’ascolto della Parola, la condivisione dell’Eucarestia domenicale e l’esercizio della Carità. A far sorgere luoghi dove abitare l’oggi, dove poter vivere il processo catechistico e sperimentare in parole e gesti la relazione viva con Gesù. «Come un cero si accende alla fiamma di un altro, così la fede si accende alla fede». In tal modo i legami di fraternità che si vengono a creare possono acquistare uno stile diverso dove gli ultimi, gli esclusi sono al centro (n.12) e non alle periferie esistenziali.
Annunciare il Vangelo di Gesù
Gli orientamenti per il decennio della CEI ci dicono che la fragilità è “una scuola da cui imparare” (EVBV, n. 54b). Insieme, dunque, siamo chiamati ad educare le nostre comunità ecclesiali a questa scuola, a valorizzare la presenza attiva delle persone e delle famiglie che vivono la fragilità, la malattia, la precarietà, consolidando il valore che l’uomo ha davanti a Dio in quanto persona e non per quello che riesce a produrre. In sinergia con il cammino della chiesa, sempre più siamo chiamati ad accompagnare le famiglie nei momenti forti della vita, quando ci si scopre limitati e impotenti davanti alla diagnosi, e sino all’ultimo incontro. Diventa allora importante saper valorizzare i luoghi della vita reale, attraverso la metodologia che utilizzate. Luoghi che potrebbero diventare inclusivi nell’ambito della catechesi, nell’ascolto del Vangelo, in rete con le comunità, inventando occasioni ludiche e sportive.
Iniziare, accompagnare e sostenere l’esperienza di Fede
La catechesi è il compito principale della comunità cristiana perché richiama la natura materna della Chiesa. Gli orientamenti spingono ad adoperare un’azione più incisiva e corale (EVBV n. 26) perché nelle comunità ecclesiali sia ordinaria e non episodica l’attenzione e il coinvolgimento attivo delle persone disabili e delle loro famiglie. Come? Ad esempio, coadiuvando i sacerdoti e l’equipe catechistica nei percorsi dell’iniziazione cristiana dei ragazzi disabili (n. 58-59) che vivono con tutti gli altri ragazzi; aiutando tutta la comunità a cambiare stile comunicativo attraverso l’utilizzo dei nuovi linguaggi; creando un’appartenenza al gruppo e alla comunità che permanga anche dopo il cammino di iniziazione cristiana; valorizzando la partecipazione attiva ordinaria alla messa domenicale, festa della famiglia, e permettendo che la persona disabile, in virtù del Battesimo, possa essere protagonista del proprio cammino di fede (n.54) e divenire anch’essa un evangelizzatore. Dove? Nella Parrocchia, Casa tra le case della gente. Luogo non solo delle celebrazioni o degli eventi sporadici, ma ambiente ospitale di relazioni significative, di promozione d’autonomie (n. 55). Occorre pertanto progettare e fornire percorsi catechetici inclusivi, sussidi accessibili che tengano conto delle diverse disabilità e dei linguaggi (n. 56). Solo questo sguardo proposto dagli Orientamenti, aiuta a non far percepire la persona disabile come un problema ma come un tesoro da condividere.
Testimoniare e narrare. Formare i servitori del Vangelo
In quest’ultima parte è delineata la figura del catechista-educatore, colui che accompagna all’incontro con il Maestro Gesù e che sa testimoniarlo con la gioia della propria vita nella comunità ecclesiale. Si delineano così nuove figure di accompagnamento alla fede (n. 67) che sappiano narrare con stili diversi l’esperienza dell’incontro salvifico. L’azione formativa della Chiesa richiede, infatti, una pluralità di ministeri e di compiti per rispecchiare la vita vera delle comunità.
Il valore testimoniale della persona disabile, fragile, deve essere considerato sempre all’interno delle comunità e curato in ogni aspetto della vita (n. 71). Infatti orientati verso l’altro si comprende che “ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita”. Gesù Cristo ha donato il suo sangue prezioso sulla croce per quella persona. Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione”. La vocazione ad essere accompagnatori autentici che annunciano il Risorto, richiede lo sforzo di armonizzare i vari linguaggi per facilitare la comunicazione tra le persone e il mistero di Dio e dei soggetti tra loro e con la comunità. Sembra pertanto urgente dare una completa e reale conformità ai linguaggi della fede, dal simbolico-liturgico al simbolico-esperienziale che tenga conto delle diversità d’apprendimento e delle varie disabilità (n. 73). Siamo chiamati ad uno scambio di buone prassi per l’acquisizione delle competenze necessarie per attuare una reale inclusione delle persone disabili nella vita ordinaria della comunità (n. 90).
Credo che questo sia la grande eredità che vi hanno lasciato Jean Vanier e M. H. Mathieu, sulle orme del Maestro che ci dice: «vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13,15).
“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia” (Papa Francesco). Di questo voi siete custodi e responsabili, fatene dono alle Vostre comunità.
Suor Veronica Amata Donatello,
CEI – UCN Resp. Catechesi per le persone disabili
C’è una bellezza della disabilità? C’è una ricchezza della disabilità? Invitandoci a non associarla a logiche di esclusione e di emarginazione, Papa Francesco ci ha aiutato a guardare alla disabilità come alla radice e all’origine dell’incontro. “La persona malata o disabile – ha affermato il 29 marzo 2104 – proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro”.
Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha messo in guardia, in maniera decisa, nei confronti della cultura dello scarto; una cultura che purtroppo segna in maniera vistosa la nostra società. Basta uscire per strada, guardare la tv, ascoltare i discorsi per rendersene conto. L’unica risposta a questa cultura di morte è ripartire dalle “periferie”, non solo geografiche ma esistenziali. Lo stile da adottare per questa salutare ripartenza è uno stile antico, che connota la nostra Chiesa da sempre: lo stile di Gesù Cristo.
L’invito di papa Francesco si è fatto subito gesto quando, in quel 19 marzo 2013, al suo primo giro in Piazza San Pietro, vedendo una persona disabile, fa fermare l’auto, scende, la ascolta, la abbraccia e la bacia.
Qui l’annunzio e l’invito si sono fatti concretezza e quindi gesti semplici ma intensi ripetuti come un rito, una danza, un desiderio. Francesco continua così: il Giovedì Santo di quello stesso 2013 lavando i piedi ai ragazzi disabili del Don Gnocchi, la domenica di Pasqua con Dominic, i giorni successivi cedendo il posto a un ragazzino down e via fino ad oggi. Sulle orme del Maestro, il Papa sta lavorando per una cultura dell’incontro caratterizzata da cinque verbi attivi: il Papa “vede” (e non guarda), “si ferma”, “ascolta”, “abbraccia” e “bacia”. Questi suoi gesti di prossimità e di tenerezza ci educano, come comunità e come società a seguire il suo stile attraverso una serie di azioni concrete che potremmo formulare così:
Fermarsi per lasciarsi pro-vocare: la periferia è il centro. Occorre lavorare per sconfiggere un pregiudizio diffuso e lavorare per una Chiesa del Noi e non d’élite. Una Chiesa d’élite esclude “persone” con una o più disabilità, malate o fragili.
Vedere, ovvero accorgersi che l’altro esiste. Il 21 giugno a Cassano allo Jonio, il Papa ferma il corteo. Il programma è stravolto: c’è un colpo di scena, il Papa ferma le auto, scende al volo per salutare la famiglia di Roberta, ragazza disabile. Con gesti di prossimità verso la famiglia, verso coloro che sono ai margini. Gesti che fanno percepire la vicinanza, la tenerezza e la forza dell’amore di Dio.
Ascoltare: al “Serafico” di Assisi, il 4 ottobre, Francesco sviluppa la sua omelia partendo dai volti dei ragazzi pluridisabili e delle loro famiglie. “Ascoltiamo le piaghe di Cristo” dice.
Abbracciare: l’abbraccio, il sorriso, il silenzio in tutti i suoi giorni. Ascoltando l’eco in Piazza San Pietro, alcuni dicono che il Papa ci insegna a non aver paura della tenerezza, ad amare. Ma per far questo siamo chiamati nelle nostre comunità e nella società a pensare a un progetto di vita, a «non solo istruzione e cura. Ma dignità per creare il futuro e la sua sana autonomia» (Messaggio al IV Festival della Dottrina Sociale della Chiesa). Siamo chiamati a non nascondere questi tesori perché ci spronano a muoverci e creare nuovi processi. Non toppe, non spazi, non il riconoscimento delle quote; ma di più, molto di più.
Baciare: A Kkottongnae, in Asia, nessun discorso; mentre i media, scrutano. Ad attendere il Papa gli “ultimi”, gli scartati, tutti figli di Dio. E lui, Papa Francesco, … nessun discorso: bacia. Il bacio segno di vita, di tenerezza, di affetto, di presenza. E sì, quel bacio che vuol dire “grazie”, quel bacio che dice “ti voglio bene”.
Nel vostro 40° anniversario, carissimi amici di Fede e Luce, bisogna rinnovare l’impegno a continuare insieme e a lottare per creare una cultura dell’incontro a partire da ciò che il mondo scarta. Pensiamo al coraggio di J. Vanier e Marie-Hélène Mathieu, che hanno smosso e scosso l’opinione pubblica, creato vita dove c’era la morte, coinvolgendo famiglie, ragazzi e adulti disabili con la testimonianza nelle comunità parrocchiali. Papa Francesco ci sta confermando su questa strada, testimoniando e dando voce – senza lunghi discorsi – alla dignità che hanno tutti i figli di Dio, al diritto alla vita spirituale, a far parte di una comunità cristiana a pieno titolo, ad essere testimoni attivi. Ci invita a far nascere progetti di vita che coinvolgano tutta la dimensione della persona con disabilità: la fede, l’istruzione, l’affettività, la dignità lavorativa, il durante e il dopo di noi per le disabilità più gravi.
Questi elementi potranno essere veicolati solo con l’interesse, l’affetto e il “calore” delle nostre comunità. In tal modo – come affermano i Vescovi italiani in un documento recente – «siamo al cuore della fede, dell’annuncio del Dio della vita, della rivelazione della pasqua di morte e resurrezione» (CEI, Incontriamo Gesù, n. 41).
mons. Nunzio Galantino – Segretario generale della CEI
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129