Nel Nord del mondo, la qualità di vita è migliorata, i servizi per le persone disabili e le occasioni di incontro sono aumentati in modo significativo. Le comunità che in Europa compiono i quarant’anni di vita e che hanno contribuito in modo prezioso a tessere relazioni di amicizia attorno alle persone con handicap, sentono oggi il bisogno di ritrovare nuovo slancio di vita. Alcune si rinnovano, altre si sostengono unendo le forze, altre ancora sono invitate a celebrare la conclusione di un percorso vissuto e chi resta, è chiamato a pregare perché sorgano altre realtà di condivisione nel territorio circostante.
Diversa è la situazione del Sud del mondo, dove le persone con handicap sono per lo più considerate un castigo di Dio, un peso per le loro famiglie, per cui numerose vivono ancora nascoste nelle loro povere case. Ma, là dove sono presenti sacerdoti o giovani che hanno conosciuto l’esperienza dell’Arca o di Fede e Luce, la proposta di incontro tra persone disabili, i loro familiari ed amici, sembra fiorire e diffondersi rapidamente. È l’esempio del Kuwait, dove la vivacità di due gruppi presenti lascia sperare in un rapido sviluppo di comunità anche in Iran, Pakistan, India e nella zona della Malaysia.
Certo, per noi che siamo costantemente connessi, via mail, sms, telefono o skype, è difficile cogliere il disagio di Judex che, dall’isola Mauritius, dove abita, non riesce a conoscere la reale situazione delle comunità africane, che dovrebbe accompagnare. Come lui ci diceva, le distanze da percorrere per raggiungere queste comunità sono notevoli, i collegamenti scarsi e talvolta non percorribili. In genere, ad una mail inviata, si può ricevere una risposta: subito, a distanza di mesi o addirittura mai. Così, aveva pensato che non esistessero più le 12 comunità di Lubumbashi (Congo), di cui non aveva più notizie da circa due anni. Per questo, nei giorni scorsi, esprimeva tutto il suo rammarico in occasione dell’incontro dei vice-coordinatori internazionali, a Roma. Si può quindi immaginare la gioia, quando, grazie ad un contatto mantenuto da Ghislain, a seguito delle sue precedenti visite, ha scoperto che le 12 comunità presenti in Congo, continuano con vitalità il loro cammino di Fede e Luce. Nei prossimi mesi, Judex si recherà a visitarle per incoraggiarle e per portare loro la formazione di cui hanno bisogno. Per le spese del suo viaggio, conta sulla solidarietà dei paesi che, con il loro aiuto, possono esprimere l’appartenenza e la condivisione della grande famiglia di Fede e Luce.
Chi ha fatto l’esperienza di Fede e Luce, sa che le nostre comunità diventano luoghi dove persone di diverse culture e religioni possono incontrarsi. Così esse aprono nuovi cammini e costruiscono ponti. E tutto questo porta frutto: odio e paura diminuiscono e insieme, si contribuisce a costruire una società di pace. Oggi, in Medio Oriente, i cristiani hanno paura del loro avvenire: il fossato tra cristiani e mussulmani diventa più profondo e di conseguenza paura e odio sono destinati a crescere. La domanda è stata: ”Cosa possiamo fare”? Così, diversi membri delle comunità siriane di FeL, hanno accolto la sfida ed hanno iniziato a tessere relazioni con coloro che, dopo aver perso tutto ciò che avevano di più caro, si sono trovati costretti a partire dalle loro terre e case per rifugiarsi nei tanti campi profughi, dove si sono ritrovati poveri, malati, bisognosi di tutto, spaventati per un futuro che non conoscono. “Fede e Luce ci ha aiutato a superare pregiudizi ed ostacoli che c’erano tra noi e loro a causa di religione, cultura e ambiente di vita diversi, e ci ha insegnato ad essere presenti in mezzo a sofferenze e paure. Abbiamo imparato a rispettare queste persone, a conoscere i loro nomi, i volti, le loro storie. Non diamo soldi, medicinali o vestiti, ma dedichiamo tempo per parlare con loro, per ridere, piangere, giocare e per imparare… Le donne hanno iniziato a capire di essere importanti, di avere il diritto di esprimersi, di porre domande e di imparare. Dopo uno degli incontri vissuti, una mamma ha detto:”Voi avete attenuato la nostra sofferenza, ci avete sollevati, saremo felici di rivedervi”.
E cosa si può dire dell’Italia, che sta preparando il grande pellegrinaggio di giugno, con meta Roma ed Assisi, per celebrare i 40 anni di Fede e Luce nel nostro paese? Si riscontra certamente un grande impegno per mantenere e far crescere le circa 60 comunità sparse da nord a sud, molte delle quali vantano anche 40 anni di vita, ci si rallegra per alcune recentemente sbocciate, per i contatti sparsi qua e là e, riflettendo, ci si accorge che Fede e Luce non è poi così conosciuta. In questi anni, questo prezioso tesoro è stato custodito gelosamente da chi l’ha scoperto e vissuto, senza essere stato proposto con slancio, all’esterno. Forse, per il futuro, dovremo avere più coraggio nel prevedere una maggiore visibilità e missionarietà.
È vero che abbiamo assistito al fiorire di molteplici proposte a supporto delle famiglie: laboratori, atelier, centri occupazionali ed altro ancora. Ma in questi ambiti il disabile non rischia di restare solo il fruitore di un servizio? Dove può vivere realmente l’esigenza di amare e di essere amato? Dove può tessere legami di amicizia duraturi nel tempo? Certamente la scuola è essenziale come possibilità di integrazione e crescita; spesso, però, al termine di questa esperienza vengono a mancare punti di riferimento importanti per i ragazzi più fragili che rischiano di cadere in esperienze negative di depressione e regressione. Per questo è importante garantire loro più percorsi, che possono rivelarsi complementari e arricchire la persona nella sua globalità.
Oggi, i genitori puntano molto su ciò che può dare ai loro figli più autonomia, più competenze, più svago e tutto questo è giusto, occorre però non trascurare quegli ambiti che garantiscono il rispetto dei tempi di ciascuno, l’ascolto, la relazione, l’accoglienza e la celebrazione, perché è in questo clima rassicurante e sereno che le persone disabili percepiscono di essere riconosciute e valorizzate, di avere un loro ruolo in mezzo a noi: quello di indicarci il cammino da seguire e di trasformare gradualmente il nostro cuore.
Recentemente, ci siamo interrogati tra amici circa il futuro di Fede e Luce, chiedendoci se le nostre comunità hanno ancora motivo di esistere, oggi. Dallo scambio, è emerso che certamente, a distanza di anni, esse hanno bisogno di riscoprire la loro identità e di rinnovarsi, di aprirsi alle esigenze delle famiglie e degli amici di oggi, tuttavia restano luoghi dove ci si può voler bene nonostante le differenze, dove si impara a portare i pesi gli uni degli altri, dove si può diventare un piccolo “segno” del Regno.
Alcuni mesi fa Jean Vanier diceva: “Dove sta andando il nostro mondo, in continuo cambiamento e depresso? Quale futuro ci attende? Tante cose sono cambiate in questi anni, ma il rifiuto nei confronti della persona fragile, non è cambiato. Noi non dobbiamo chiuderci o nasconderci dietro a dei muri, ma questi muri dobbiamo spezzarli per celebrare la vita e l’unità. Dobbiamo essere con i poveri e celebrare la gioia. E la vita è là dove le persone sono rifiutate. Per questo, le nostre comunità devono diventare sempre più luoghi d’amore, di pace e di gioia.”
Lucia Casella, Vicecoordinatrice internazionale Fidenza – Kimata
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129