La nostra interlocutrice si presentò: era la mamma di Michel, un ragazzo di vent’anni affetto da un handicap mentale e da turbe psichiche. Ci fece un ritratto violento e patetico della sua vita impossibile: l’abbandono del marito, la fuga dei parenti, l’ostilità dei vicini, disturbati giorno e notte dalle urla del figlio, la carriera rovinata a causa delle continue assenze… Infine lanciò un grido di dolore e di disperazione: “Non pensate che sia un crimine aver lasciato in vita un figlio come il mio?”. La risposta di Pierre, ispirata, fu la seguente: “Il crimine, signora, è stato averla lasciata sola ad affrontare questa prova”. La donna rimase in silenzio. La sua aggressività sembrava scomparsa, come si fosse liberata da un macigno che l’opprimeva. Non l’avevamo giudicata, né tanto meno condannata, l’avevamo compresa. Mormorò dolcemente: “Sì, è vero, sono stata lasciata sola con Michel”.
A quel punto, abbiamo potuto cominciare a parlare. Le dissi di Fede e Luce. Mi ascoltava stupita, sbalordita. Ogni tanto, mi poneva una domanda, poi ripeté per due volte a bassa voce: “Come è stato possibile tutto questo?”. Nonostante l’avessimo pregata di tenersi in contatto, non l’abbiamo più rivista, ma né Pierre né io l’abbiamo potuta dimenticare.
Quella visita ha risvegliato in noi due sentimenti. In primo luogo, una profonda compassione per lei, per Michel e per tutti i genitori con figli disabili costretti a vivere in situazioni intollerabili. Il suo racconto ci ha ricordato le sfide gigantesche che pongono le condizioni di vita delle persone disabili nel mondo.
Il rilievo dato ai temi dell’autonomia e dell’indipendenza, per quanto importanti, non tiene conto di un bisogno così fondamentale delle persone disabili: amare ed essere amate, vivere la gioia di un luogo comunitario, dove siano incoraggiati i valori di una vita spirituale autentica, l’amicizia e la fedeltà, piuttosto che rapporti superficiali ed effimeri, e dove si possa fare la scoperta del dono di sé e del servizio al bene comune.
Allo stesso tempo, lo stupore manifestato dalla mamma di Michel nei riguardi di Fede e Luce ci aveva fatto sentire con nuova intensità quanto fosse incredibile ciò che Dio aveva compiuto e compie verso i più piccoli. “È impossibile! Com’è potuto succedere?”. Com’è possibile che le persone più deboli abbiano riunito a Lourdes un’immensa folla e ne abbiano fatto una famiglia? Com’è possibile che l’handicap, la malattia, visti obiettivamente come una disgrazia, o addirittura una maledizione, si trasformino in un cammino d’amore e di gioia?
Qual è insomma questo grande mistero della persona disabile in cui siamo chiamati a entrare?
Ci è stato svelato in parte nel Vangelo, soltanto in parte, perché potremo comprenderlo solo in Cielo. Dio che sceglie il debole per confondere i forti. Dio che nasconde i suoi misteri ai saggi e agli intellettuali e li rivela ai più piccoli. Dio che ci promette la beatitudine se inviteremo i poveri, le persone disabili alla nostra tavola e alle nostre feste. Gesù che arriva perfino a identificarsi con loro: “Tutto ciò che farete a uno di questi piccoli, lo farete a me”. Gesù impotente sulla croce, che si rivela nel bambino che non può muoversi e di cui non si può alleviare la sofferenza.
Così, quando aiutiamo la persona disabile a camminare o a mangiare, quando le facciamo visita, quando la guardiamo con tenerezza, è Gesù che aiutiamo, che visitiamo, che guardiamo con tenerezza. È Lui, presente come lo è nell’eucaristia. È Lui, presente anche nel bambino che può sconvolgere e al tempo stesso regalare qualche istante d’inattesa felicità.
È per questo che il canto di ringraziamento di Fede e Luce sale verso Dio, perché ci ha chiamati ad essere compagni di viaggio di quelli che sono i più vicini al suo cuore. Con Maria, amiamo ripetere il Magnificat:
“Abbatte i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati”
Marie-Hélène Mathieu – Tratto da Mai Più Soli, Ed. Jacabook
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129