Siamo nel 1946. L’Italia esce dalla guerra con le ossa rotte. Lutti ancora freschi, rancori, tanto da ricostruire. E tanta speranza, tanta voglia di fare. Il referendum ha appena stabilito che sarà repubblica. Il papa è Pio XII.
Ma perché questo salto indietro di settanta anni? È l’anno che incontro Mariangela.
Frequento da qualche anno l’Istituto Nazareth e mi sono iscritta alla terza media. Il gruppo dell’anno scorso si è ricostituito al primo giorno di scuola. Ma ecco apparire tra noi la nuova alunna. Ha le trecce annodate dietro la nuca ed un accento marcatamente veneto. Una certa ilarità pervade noi tutte, romane. Ma come parla?
La sorpresa e diffidenza iniziali di quel primo incontro dopo qualche giorno si erano dissipate. La nuova alunna era di ingegno vivace e compagnona. Veramente simpatica. E buona. Divenne presto amica di tutte.
A quel tempo si usava andare a casa delle compagne il pomeriggio per fare i compiti insieme.
Abitavo in Viale Angelico, lei in Piazza Città Leonina, in un bel palazzo a un passo dal colonnato di San Pietro. Anche quella casa doveva sorprendermi. Era immensa, come immensa era la famiglia Mazzarotto. Quando arrivavo i fratellini di Mariangela, Piero e Alberto, scorazzavano in triciclo nell’ingresso. Non avevo mai conosciuto una famiglia con dieci figli. Se cercavo Mariangela al telefono mi veniva risposto “vado a vedere”. Come “vado a vedere”? È possibile che non si sappia se una persona c’è o non c’è? A casa mia non era pensabile. Altra protagonista dei miei ricordi era la ghiacciaia, a quel tempo una rarità.
La famiglia si era trasferita a Roma da poco. Sono sicura che con tanti figli un certo numero di regole, ma anche di autonomie, in casa dovesse esserci. Indubbiamente la disinvoltura, la disponibilità, la forza che ho sempre riconosciuto a Mariangela aveva le sue radici nella grande casa.
Il padre di Mariangela morì prematuramente. La famiglia dovette riorganizzarsi per fronteggiare la grave perdita. Tutti si accollarono le piccole o le grandi nuove responsabilità. Mariangela non fu da meno e al liceo fu studentessa brava e coscienziosa. Le piacevano le lettere e questo sarebbe stato il suo percorso futuro. Quando entrava in classe Monsignor Fallani, presidente della Pontificia Commissione per l’Arte Sacra, seguivamo le terzine di Dante incantate.
Tra mio padre e Mariangela, due bibliofili, si stabilì un bellissimo rapporto, fatto di stima e di affetto. A mia volta ero legata alla signora Mazzarotto, un gigante nel ruolo di capofamiglia eppure allo stesso tempo una persona gioiosa. Che recite divertenti organizzava in quella casa!
Venne la maturità classica, preceduta da mesi di studio e di angoscia. Promosse. Bisognava festeggiare. Accettai l’invito di Mariangela e la raggiunsi a Scomigo, un piccolo paese nel Veneto. Vi regnava la semplice quotidianità rurale. Mariangela mi metteva a mio agio, senza ricercatezze e senza fronzoli. Anche qui la dimensione della grande famiglia improntava ogni cosa. C’erano tanti ragazzi e ragazze di tutte le età e per me fu una immersione in un mondo nuovo. La sera ci si raccoglieva intorno ad un falò e si parlava e si cantava. A pranzo la campana del casale chiamava. E, quando fu il momento di partire, un carro tirato dai buoi portò valigie e passeggeri alla stazione.
Andammo a Cortina e vidi per la prima volta la vera montagna: Mariangela mi fece da guida.
Gli anni che seguirono interruppero certe consuetudini perché i corsi universitari ci divisero. Alcune di noi incontrarono colui che sarebbe diventato il compagno della vita.
Nonostante le strade diverse non ci siamo perse di vista. E negli eventi importanti, matrimoni e nascite, eravamo immancabilmente vicine. Anche Paolo, il marito di Mariangela, veniva da una grande famiglia, i Bertolini.
Nacque Chicca. Non cresceva ed era fonte di ansia per i genitori. Anche noi amici, che non vivevamo il quotidiano, eravamo afflitti. Ci domandavamo come Paolo e Mariangela facessero ad andare avanti. Allo stesso tempo stavamo imparando da loro che questo era possibile. Era addirittura possibile vivere con serenità. Le vacanze che passammo insieme a Donoratico con Chicca e il giorno della Prima Comunione furono momenti di autentica letizia. Ero in contatto quotidianamente con Paolo: insegnavamo nella stessa classe. Mi sono sempre domandata se altri sarebbero stati capaci di tanto e se l’esperienza di Chicca abbia fatto scattare in Mariangela quell’impegno sociale e forza che tutti hanno conosciuto. Sono convinta che tanta forza Mariangela ce la doveva avere già prima e che gli eventi la abbiano solo indirizzata.
A questo punto non terminano i miei ricordi ma voglio qui chiudere perché della Mariangela di Fede e Luce molte persone possono dire più e meglio di me.
Voglio solo dire: grazie Mariangela per quanto hai dato a me e a tutti noi. È stato bello incontrarti e fare tanta strada insieme. Sono certa che ci guardi e sorridi.
Paola Angeloro Cervellati , 2014
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.128