“Vuoi che ti racconti il mio itinerario? Sono arrivato all’Arca trent’anni fa, un po’ per caso”, piace ricordare a colui che dal 2011, dirige la federazione dell’Arca in Francia (31 comunità, 1200 persone accolte). A vent’anni, obiettore di coscienza, ha effettuato un tirocinio all’Arca di Lanzo di Vasto, una comunità rurale ispirata da Gandhi e dalla non violenza, quando un membro lo incita, di fronte alla sua scarsa voglia di lavorare il legno, a raggiungere l’altra Arca, quella di Jean Vanier…Il giovane atterra a Trosly-Breuil, quindi si inserisce nella comunità di Parigi. “Non avevo alcuna conoscenza delle persone con handicap, né delle comunità cristiane, ricorda questo ebreo impegnato.
“Veramente non avevo idea… Per i due anni e mezzo in cui vive a tempo pieno nella comunità, confessa di aver vissuto “un’esperienza forte di relazione”, e scopre “un filo che valeva la pena di tirare”. A contatto con le persone con handicap non so se sono rimasto più colpito dalle differenze o dalle somiglianze…Può darsi per un insieme assai raro di entrambe!”. Confida quest’uomo acuto, che usa con facilità il paradosso.”Ho fatto esperienza di gioia là dove mai me lo sarei aspettato!” Dopo questa esperienza, rientra nell’impresa familiare, poi mette su famiglia – ha quattro ragazzi grandi e da allora resta membro amico della comunità.
Testimone di un’esperienza
Il vecchio obiettore di coscienza vede l’Arca come un luogo di contestazione sociale? “L’Arca è sovversiva perché interroga sul rapporto della nostra società con il bisogno di massima efficienza. Non siamo militanti di una causa, siamo testimoni di un’esperienza. Il nostro invito è: “ Venite a vedere”! La nostra sola preoccupazione è che le persone handicappate siano riconosciute come persone complete e come dei cittadini; che si riconosca che non sono come prima cosa un peso, ma che contribuiscono alla vita del paese”.
In occasione della festa dei 50 anni, il direttore confida di veder riconosciuto da parte dei pubblici poteri, anche dal presidente della Repubblica francese, il contributo dato dalle persone con handicap alla fratellanza. Il futuro dell’Arca, che ha la stessa età di Stephan, si scrive per lui nella fedeltà alla sua identità, ma anche alla sua fragilità e incertezza, particolarmente per i finanziamenti. Una incertezza che egli vuole come “motore” che spinge ad andare avanti: “Bisogna restare attenti all’appello, là dove si grida, là dove si è chiamati, convocati”
Sul muro del suo ufficio, si vede un poster di Chagall. Nato a Parigi da un padre inglese e da madre ebrea, i cui genitori lasciarono la Germania per la Francia nel 1933, Stephan rispetta l’audacia di chi l’ha portato alla testa della federazione. Della sua singolarità egli ne ha fatto un punto di forza e spera di aver fatto all’Arca esperienza di comunione attraverso la diversità delle identità. “Mi sono fatto degli amici tra alcuni fratelli cristiani, Ho scoperto la lettura cristiana di ciò che si vive all’Arca – il mistero della vita e della resurrezione; una lettura che mi colpisce perché tocca un tema universale e perché non è estranea alla cultura giudaica” ci spiega. Per qualcuno che studia ogni giorno la Bibbia ebraica, l’Arca è stata piuttosto l’occasione di approfondire la sua identità: “L’Arca mi scuote sulle questioni estreme e questo porta a scavare tra le risorse della mia tradizione religiosa”. Se, da un lato, crede l’Arca capace di adattarsi a differenti culture, nel contempo, egli si dice fedele all’ispirazione prettamente cristiana delle comunità: “Se si perde questo passato, si ipoteca gravemente il nostro futuro!” Il gusto del paradosso si potrebbe dire… A meno che ciò non sia, per questo lettore del filosofo Emmanuel Lévinas, un’esigenza di libertà nella quiete della verità. E cita Christian de Chergè, il defunto priore di Tibhirine: “la gioia segreta dello Spirito sarà sempre di fare comunione, cercare le somiglianze, giocando con le differenze”.
Cyril Douillet , 2014
Da Ombres et Lumiere n°198
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.126