Viola ha una nuova sorellina, che decide dovrà chiamarsi Mimosa (“perché sono due fiori e i colori viola e giallo stanno bene insieme”). È molto contenta, anche se capisce subito che qualcosa non torna: il papà, la mamma e le nonne si comportano in modo molto strano. Sono arrabbiati, tristi, piangono, guardano nel vuoto, fuggono o addirittura non si fanno vedere. È dunque innanzitutto attraverso le reazioni degli adulti che gradualmente si fa strada in Viola la consapevolezza della diversità di Mimosa. È diversa, ma è anche speciale. Speciale come un quadrifoglio.
È questa la trama dello splendido libro per bambini di Beatrice Masini e Svjetlan Junakovic, Mia sorella è un quadrifoglio (2012). Invece di tanta retorica vuota e altisonante, di un’ideologia schizofrenica tra desiderio individuale e politicamente corretto, questa coloratissima storia affronta con semplicità e pacatezza temi complessi come la diversità e l’accettazione. E lo fa attraverso lo sguardo, le curiosità, i timori e l’esperienza quotidiana di una bimba che si trova nella delicata posizione di essere una sorella. “L’avevo già capito da sola che Mimosa era diversa dagli altri bambini. Ma uno non può mica chiedere scusa per quello che è. È così e basta”.
Chiudendo il libro e passando alla realtà, Mimosa è nata in ogni parte del mondo, e tra vecchie e nuove chiusure continua a nascere ogni giorno. Non sempre però ha Viola vicino. Ecco, con questa rubrica, vorremmo cercare di raccontare le Mimose di ieri e di oggi, quelle vicine e quelle lontane, attraverso la voce di Viola, immergendoci nello sguardo e nei pensieri di ogni singola, piccola Viola che – con affetto e curiosità – osserva, incontra e scopre. Scopre se stessa, Mimosa, il loro rapporto, gli adulti e il mondo.
In questo nostro primo incontro, Mimosa nasce a Città del Messico, in una famiglia numerosa e poverissima. Non sappiamo nulla della mamma e del padre della piccola, possiamo solo immaginare la loro disperazione e il loro dolore nel realizzare che quel fagottino appena giunto è un fardello troppo pesante per le loro fragili spalle. E così, ancora una volta (come tanto, troppo spesso è successo nella storia), Mimosa viene abbandonata.
In un posto terribile, che rivela molto più di quel che dice: sul ciglio di una discarica.
Ma Mimosa non è completamente sola. Viola ha seguito gli adulti da lontano ed è rimasta a cullare a distanza la sua ultima sorellina anche dopo che i genitori se ne sono andati. E così Viola può testimoniare un lieto fine insperato: la piccola, infatti, viene raccolta dal calore di suor Ines, una religiosa che negli ultimi anni si è dedicata a “raccogliere i piccoli disabili dalla spazzatura”, minori abbandonati per le strade o bambini lasciati nelle discariche perché disabili. Secondo quanto ha riferito all’Agenzia Fides padre Angel García, presidente e fondatore dell’ong spagnola Mensajeros de la paz, suor Ines raccoglie i bimbi che nessuno vuole, dando a molti di loro anche il suo cognome. Finora ne ha raccolti 200.
A fine 2012, il lavoro instancabile di questa religiosa ha dato nuovi frutti: in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione di Mensajeros de la paz, infatti, è stato presentato un progetto per costruire a Metepec (località a nord di Città del Messico), su un terreno di 4 ettari donato dallo Stato, due nuove case di accoglienza, una per bimbi disabili abbandonati e l’altra per anziani. Ognuna ha 40 posti.
Mimosa è salva.
Giulia Galeotti, 2013
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.121