Avevo già avuto la gioia di incontrare Jean Vanier negli anni di seminario. Ricordo che fu un momento bello, per tutti i seminaristi, con la consapevolezza di un confronto con un “gigante” della carità, grande perché piccolo. Ricordo la sua testimonianza che risplendeva proprio di questo: “occorre farsi piccoli, farsi bambini”, perché con semplicità possiamo incontrarci nella verità e nell’amore.
Sempre in quegli anni avevo letto il suo testo “La comunità, luogo del perdono e della festa”. Mi piaceva quello stile di vita, quelle indicazioni che, partendo dall’Arche, erano valide per ogni comunità umana e cristiana. Ho cercato di trarre già da allora alcuni spunti che avrei voluto ritrovare o proporre nelle comunità cui sarei stato mandato. E quando ho conosciuto “Fede e Luce” – ancor prima di arrivare a S. Silvia, dai racconti di una mia cugina che ne faceva parte – ho visto non solo un gruppo, ma una famiglia in cui nessuno è estraneo, nessuno si sente fuori posto. Tutti danno il loro contributo in umanità, piccoli e grandi, e questo fa risplendere la bellezza della Chiesa.
Sono stato molto contento quindi, quando ho saputo che Jean Vanier avrebbe incontrato i sacerdoti di Roma in occasione dell’Anno della Fede. Sicuramente sono tante le persone che potevano essere contattate, ma la scelta di Jean credo sia stata dettata dal voler presentarci un testimone che, sulla scia del Concilio, continua a dire alla Chiesa e al mondo di oggi che vivere il Vangelo è possibile, anche e soprattutto nel XXI secolo.
Siamo in tempi in cui anche la Chiesa rischia di chiudersi nelle formalità relazionali o in strutture di carità ben organizzate ma prive di un’anima. Nella vita quotidiana in parrocchia c’è una continua richiesta di aiuto, di ascolto, di sostegno, ma la vera richiesta mi sembra quella che le persone siano considerate persone. Il progresso, le comunicazioni, la tecnologia di oggi tentano di “sequestrarci” il bello delle relazioni umane, delle attenzioni vere. Nell’incontro avuto con Jean Vanier c’è stato questo forte richiamo all’attenzione alla persona. “Le prime parole di Gesù risorto alla Maddalena – ci ha detto – sono state: perché piangi?” A Gesù sta a cuore la sofferenza di Maria. Raccontandoci la storia di alcune persone – Paoline, Nathalie, Lucien, o dei tanti malati di Alzheimer -, Jean ci ha indicato un percorso di tenerezza, di semplicità, di povertà, di preghiera. Siamo poveri davanti a Gesù.
Così siamo chiamati ad esserlo davanti a tante persone che il Signore ci mette accanto, nel mondo fragile di oggi. E Jean ha confermato anche noi sacerdoti nella fede e nel desiderio di vivere in comunità accoglienti, in cui si respiri fraternità.
Ci ha detto: “Vedo la sofferenza dei sacerdoti perché non hanno comunità. Una comunità è essere insieme, avere la stessa missione. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, si hanno dei tempi di festa, ci si aiuta l’uno con l’altro. Nel nostro mondo moderno con la tirannia della normalità, che spinge le persone ad avere un successo individuale, vedo tanta gente che vive nella solitudine e nella sofferenza della solitudine”.
In questi anni, come parroco di una grande comunità come S. Silvia, ho visto tanta attenzione e semplicità nei gruppi di “Fede e Luce”. Ho cercato, osservando questo stile di accoglienza, di riportarlo nella vita di ogni giorno, nelle tante occasioni di incontro con la gente e con le miserie fisiche, ma soprattutto spirituali, dell’uomo di oggi. Tra le cose più belle che vedo è il non considerare il “diverso” un “diverso”; anzi, c’è un’armonia in cui veramente tutti sanno di essere allo stesso livello. Non c’è chi serve e chi è servito, ma c’è un’autentica comunione in tutto.
Certo, come in tante realtà ecclesiali, anche nei gruppi “Fede e Luce” si nota la mancanza di un ricambio generazionale. Eppure credo che dai figli (o dai nipoti) di tante coppie che sono cresciute nella spiritualità di Jean Vanier, ci possa essere un segnale di speranza per un rinnovato impegno in questo terzo millennio. Spesso i disagi cui venire incontro oggi sono proprio quelli della solitudine dei giovani, persi dietro lo schermo di un computer o tra i tasti di un telefono. A loro bisogna con coraggio rinnovare l’annuncio del Vangelo “senza sconti”, puntando in alto. È un dato che lì dove la proposta è impegnativa, seria, ricca di contenuti di fede e di servizio, i giovani non si allontanano, ma si appassionano. Lì dove invece la proposta è incerta, “leggera”, “indolore”, i giovani si annoiano e abbandonano, in cerca di cose più allettanti, che purtroppo non mancano al mondo di oggi.
Jean ha concluso l’incontro con parole di speranza: “Può darsi che sia un momento straordinario per scoprire il profetismo della Chiesa, la Chiesa della compassione, la Chiesa della bontà, la Chiesa che entra nell’incontro con le persone che si sentono deboli”. Sì, credo anch’io, nonostante le prove del mondo, che sia un momento straordinario per riscoprirci Chiesa che vive di Fede in Dio, dando Luce al mondo.
Ringrazio Dio perché ancora una volta ha messo Jean Vanier sul mio cammino.
Don Paolo Ricciardi, Parroco S.Silvia, Roma, 2013
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.121