Questo mercoledì sera, il tempio protestante di via Cortembert (Parigi 16°) accoglie le prove del coro Resilienza, diretto dal maestro Hugues Reiner. In programma: Salmi di Chichester di Lèonard Bernstein, Gallia di Gounot e Te Deum di Bizet.
Dopo seri riscaldamenti della voce, i pezzi prendono il via. La specificità di questa corale? Essere aperta a tutti. Alle persone cosiddette “normali” come a quelle colpite da un handicap fisico, psichico, mentale o con grave disagio sociale.
All’inizio, condizionati dai pregiudizi di persone “normali” cerchiamo con gli occhi le persone handicappate. Saranno allo stesso livello? Come vivono questa musica? E qualche minuto dopo, catturati dalla musica e dalla potenza delle voci, allentiamo la presa e ci abbandoniamo all’immenso potere delle note.
Perché cercare la differenza quando questa ci offre armonia? “Gli psichiatri credono solo nella medicina farmacologica o al ricovero psichiatrico e non pensano che il canto corale possa essere una terapia efficace. Ma io ho visto Guillaume affetto da turbe della personalità, ormai vicino al suicidio, che da quando canta è risuscitato!” spiega il direttore. In effetti a vedere Guillaume cantare, sembra impossibile pensare che la sua vita, prima, potesse essere così nera. Sorridente, impegnato a trovare la nota giusta, attento allo spartito, la schiena curva, gli occhi chiari immersi in quelli del suo maestro, canta o piuttosto: vive. Come se la musica catalizzasse le energie distruttrici in energie armoniose.
“Io sono il solo ad avere il diritto di usare il “Braille”
Hugues Reiner, si entusiasma, si riscalda, si innervosisce, applaude, è contento, giura, si congratula. Un vero one man show che con i suoi scatti fa ridere i suoi allievi. “Questa corale, è tutta la mia vita, confida Céline, soprano di 41 anni che soffre di schizofrenia. Qui sento di avere l’atteggiamento giusto. Ogni settimana non attendo che una cosa: le prove.”
Pierrik è ipovedente; esegue grazie agli spartiti in Braille, “io sono il solo ad avere il diritto di usare il Braille” si diverte a dire. “Il canto mi libera e mi fa molto bene fisicamente e moralmente”, testimonia da parte sua Ségoléne, 29 anni, lei che sa suonare pianoforte e chitarra, oggi preferisce il canto. “Ma solamente con gli altri! Da sola non mi piace cantare.”
I cori Résilienza scommettono soprattutto sulla collettività. Il fatto di stare insieme insegna ad ascoltare l’altro e a rispettarlo. “La musicoterapia è una scienza individuale, è buona, ma resta sempre nell’ambito del rapporto medico-malato. Nel canto corale non c’è più distinzione. Noi siamo tutti musicisti”, spiega il direttore del coro. La corale favorisce relazioni forti con gli altri coristi nascono amicizie. Privilegio raro quando si risiede in un istituto di cura. “Vedere delle persone handicappate così felici procura un’enorme gioia”, testimonia una contralto. I “claudicanti” della vita hanno delle lezioni da dare: “Fare un progetto per allontanare il proprio passato, trasformare il dolore del momento per farne un ricordo importante o divertente: ecco il lavoro di resilienza, aggiunge Hugues Reiner. Non si riesce mai ad annullare i nostri problemi, ne resta sempre una traccia, ma si può dar loro un’altra vita , più sopportabile e talvolta anche più bella”.
Maylis Guilleier, 2013
Da O&L N.193/2013
“La musica mette luce nelle nostre ombre”
Hugues Reiner ha fondato i cori “Resilience” presenti in Francia e in numerosi altri paesi.
Come hanno iniziato i cori Resilience?
Ero già sensibilizzato ai problemi dell’handicap, avendo un fratello che soffre di schizofrenia. Ma l’impulso mi è stato dato da Thomas Housset, oggi pianista. Stava attraversando un periodo nero e non ne poteva più. Allora io ho trascurato tutto, abbiamo acquistato un pianoforte ed abbiamo iniziato a suonare per cinque ore al giorno. Thomas era salvo.
La musica guarisce veramente?
La musica mette la luce tra le ombre. I medici fanno delle diagnosi mediche, io faccio diagnosi musicali. Noi riusciamo lì dove i progetti medici non offrono alcuna speranza. Non ci mettiamo in contrapposizione, ma pesiamo sulla bilancia e possiamo farla pendere dal lato giusto. Bisognerebbe avere dei pianoforti e delle corali in ogni luogo di cura. E’ un’urgenza sociale.
Quale ruolo gioca la sua fede?
Mi sono fatto battezzare cinque anni fa. Mio padre è ebreo, mia madre cattolica, ho ricevuto un’educazione protestante. Quando sono rimasto disoccupato, dopo più di 1500 concerti diretti in tutto il mondo, la mia vita era diventata vuota. Una vera traversata del deserto… ed è allora che ho incontrato Cristo, in una Chiesa parigina. Oggi la fede è il mio motore.
Raccolto da M.G.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.123