Devo aggiungere che nel momento in cui ho iniziato a praticare lo yoga ero in condizioni fisiche che si potevano definire veramente scarse. Per darne una idea avevo la spalla destra più bassa di 15 cm rispetto alla sinistra. Oltre a questo in passato avevo avuto anche problemi neurologici, in relazione ai quali per 10 anni ho dovuto prendere il gardenale.
Praticando lo yoga, ho avuto un lento ma progressivo miglioramento, dal punto di vista sia fisico sia, se così si può dire, mentale. Ciò che mi ha colpito maggiormente è stato vedere come i cambiamenti del “corpo” e della “mente” si condizionassero a vicenda. Mi sono accorto che il fatto di riuscire a rilassare il corpo, a fargli fare movimenti tranquilli, riusciva a togliere gran parte del mio stress, e nello stesso tempo come il fatto di respirare con tranquillità portasse ad un netto miglioramento del mio fisico.
Ho iniziato a insegnare a persone “normali” e tra queste è venuta Giulia, amica conosciuta anni prima in un campeggio di Fede e Lucei, che, sorella di un ragazzo disabile, aveva aperto una associazione per tutte le persone con problemi che si chiama “Willy Down Onlus”. Così ho pensato che si poteva cercare un posto dove poter tenere le lezioni mentre lei avrebbe portato gli allievi.
Pensare è facile, mettere in pratica è più difficile; trovare un posto economico dove insegnare yoga a Milano è difficilissimo, se poi si vuole praticarlo con persone down ancora di più. A risolvere i problemi è stato Filippo, lo avevo conosciuto per questioni lavorative; mi ha presentato Silvia, la quale aveva appena aperto un centro di yoga per adulti e bambini che si chiama Soffio di Stelle.
In questo centro ho iniziato a tenere lezioni di yoga a tre “ragazzi” down nel 2012.
Devo ammettere che all’inizio, per me insegnante, non è stato molto semplice. I problemi erano molti, ma il principale era riuscire a capire se il metodo che seguivo era valido o meno e come riuscire ad ottenere fiducia da parte dei ragazzi stessi. Devo premettere che gli effetti dello yoga non si riescono a vedere prima di due o tre mesi su tutte le persone, ma in questo caso nessuno di loro tre faceva in modo di darmi qualche soddisfazione.
Ma, mentre, durante una lezione, mi chiedevo se valeva la pena di continuare o era meglio smettere, è successa una cosa che è stata, a mio parere veramente gioiosa, capace di darmi l’impulso a continuare.
Provo a spiegare cosa è successo. Alla fine di ogni lezione (come avviene con tutti gli allievi) faccio fare quello che chiamo il rilassamento, ovvero, mentre sono tutti comodamente sdraiati a terra sulla schiena con gli occhi chiusi (e questo non è facile per tutti) io indico parti del corpo da rilassare. Normalmente le persone “sane” che fanno yoga per le prime volte riescono a restare ferme almeno tre minuti, e poi iniziano a muovere alcune parti del corpo; i ragazzi erano sempre talmente agitati che dopo un minuto portavo termine alla pratica del rilassamento.
Invece quella volta, erano passati circa tre mesi dalla prima lezione, quando era trascorso circa un minuto dall’inizio del rilassamento Sveva, ha letteralmente chiuso gli occhi e rilassato il corpo. Probabilmente si è anche addormentata, e questo prima o poi capita a tutti, poi si è svegliata e ha continuato a rimanere tranquilla e rilassata. Io, a questo punto, invece di terminare o proseguito per il tempo “giusto” e, appena ho finito la pratica, Sveva si è subito seduta dicendo ai suoi amici una frase del tipo “ma lo sai che mi sono rilassata davvero?” e, continuando, ha dichiarato che le erano passati tutti i mali, tranne, naturalmente, quelli che aveva ormai da anni. La cosa bella non erano le parole ma come le diceva il suo viso sorridente e felice.
La settimana dopo erano tutti e tre molto più tranquilli, si impegnavano durante la lezione e, durante il rilassamento, si sono presi per mano restando tranquillamente distesi con gli occhi chiusi; l’effetto positivo degli esercizi svolti è diventata evidente anche dal punto di vista fisico.
Per dare un esempio, all’inizio uno di loro aveva i muscoli talmente contratti che non riusciva ad alzare le due braccia e stenderle in alto sopra la testa; inoltre, prima che iniziasse a fare un esercizio dovevo spiegarlo, ripeterlo, aspettare che iniziasse e insistere, se poi l’esercizio andava fatto prima con un lato del corpo e poi con l’altro, dovevo ripetere il tutto due volte. Ebbene a giugno, dopo mesi di lezione, non solo bastava che spiegassi l’esercizio una volta e lui lo faceva, ma se andava fatto a destra e a sinistra lo faceva correttamente prima da una parte e poi, senza bisogno che io dessi alcuna altra indicazione, dall’altra.
Uno dei problemi che emergono quando si insegna yoga è dato dal fatto che gli allievi di solito non dicono quali sono i loro problemi, dove soffrono, e cosa si aspettano dallo yoga, ma dopo alcune lezioni confidenzialmente rivelano tutti i problemi. Con le persone disabili la questione è più delicata, perché la maggior parte di esse oltre che di un problema “mentale” soffre anche di problemi fisici, e nessuno di loro verrà mai a spiegare quale è sorto dalla nascita e quale è dato dalle tensioni fisiche e psicologiche che ha avuto. Per riuscire a far loro conseguire un miglioramento l’insegnante deve riuscire a creare (o forse è meglio dire a ottenere) una vera fiducia da parte loro.
A settembre dell’anno scolastico successivo, riprendere non è stato semplice. Uno dei motivi era che Sveva era l’unica a tornare, gli altri erano più numerosi e nuovi. Io, visto l’anno precedente, non mi sono preoccupato e, dopo due o tre mesi, ho potuto vedere un miglioramento. Certo ciascun allievo è diverso, e quindi ha una reazione diversa, ma un miglioramento l’ho rilevato su tutti.
Quest’anno ho iniziato un nuovo corso e sono tornati tutti gli allievi dell’anno scorso oltre a due nuovi. Nella prima lezione ho fatto fare degli esercizi e di proposito mi sono messo a fianco di un ragazzo che era venuto per la prima volta. Gli ho fatto fare degli esercizi semplici chiedendogli se sentiva dei dolori e dove. Beh, in quel momento, con mia piacevole sorpresa Sveva si è avvicinata tranquillizzandolo e gli ha spiegato che io faccio fare esercizi strani, chiedo se sentono dei dolori, ma poi faccio sempre in modo che i dolori passino e, anzi, che la parte, che di solito è dolorante, stia veramente bene. Finita la lezione il ragazzo nuovo ha guardato Sveva e le ha detto che non sentiva più nessuno dei dolori che aveva prima.
Questo vuole dire che lo yoga ha avuto il suo vero scopo, che non è quello di diventare un acrobata o un santo, anche se non lo si esclude; il vero scopo per ciascuna persona è di diventare se stesso, di conoscersi. Questo risultato non è riservato a pochi prescelti, ma è raggiungibile da tutti. E’ forse un modo particolare per togliere alle persone “diverse” il senso di imperfezione e l’impressione di essere “inferiore” rispetto a tutti gli altri.
Andrea Cesarini, 2013
Effetti benefici dello Yoga
Uno degli effetti dati dallo yoga che si possono vedere, anche sulle persone disabili, è dato dal rilassamento muscolare. Le posizioni che si praticano (il nome in sanscrito, antica lingua indiana, è asana) devono essere comode e senza sforzo, per cui per riuscire a praticarle bisogna contrarre solo i muscoli necessari, rilassando tutti gli altri. In questo modo, rilassando i muscoli, si sciolgono molte delle contrazioni che erano ormai fisse nel corpo e, di conseguenza, si eliminano anche i dolori che venivano provocati facilitando uno stato di benessere generale per la persona.
La pratica costante e continuativa dello Yoga porta beneficio alle strutture e alle funzioni corporee nel loro complesso integrate. Ne escono incrementate e migliorate: il tessuto muscolare, la struttura ossea, le articolazioni, i legamenti e i tendini, gli organi interni e il sistema cardiovascolare; le vie respiratorie, le funzioni gastrointestinale, endocrina, escretoria; la coordinazione occhio-mano, i tempi di reazione, la qualità del sonno; il sistema immunitario; i livelli di energia, l’attenzione e l’efficacia dell’apprendimento, la gestione di ansia e stress, l’accettazione di sé e l’autostima, la frequenza e la qualità della condivisione.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.124