Mi chiamo Arianna, sono una ragazza disabile, affetta da tetraplegia spastico-distonica, ho 21 anni. Ho finito da poco il liceo pedagogico, ora frequento l’università. Vorrei raccontare la mia “avventura” scolastica, perché per noi ragazzi ormai andare a scuola è un’avventura, soprattutto per noi disabili.
Materna
La mia avventura inizia dalla scuola materna, dove con molti sforzi siamo riusciti a trovare una struttura in grado di offrirmi tutto ciò di cui avevo bisogno: insegnanti di sostegno e delle maestre “coraggiose”, con la voglia di mettersi in gioco, capaci di rapportarsi con una bambina avente difficoltà motorie non indifferenti.
Elementare
Alla scuola elementare è stato un po’ più complicato perché era un continuo susseguirsi di insegnanti di sostegno, di classi e di assistenti alla persona. Alcuni si rifiutavano di “lavorare” con un bambina disabile.
Finalmente, poi, si è creato un “team”, e da quel momento in poi il clima a scuola è diventato più sereno, si “lavorava” meglio.
Per darmi la possibilità di scrivere, la scuola aveva acquistato un computer con un programma particolare, adatto a me, ma non ha avuto molto successo perché era difficile per me riuscire a controllare i movimenti, quindi l’unico modo “sicuro ed efficace” era ed è, la dettatura ad una seconda persona (insegnanti/mamma/compagni/educatori) .
Medie
Per fortuna alla scuola media, la Direttrice era la stessa delle elementari, quindi siamo partiti “con il piede giusto”; anche qui si è cercato di formare un team di lavoro, con molte difficoltà, purtroppo. C’erano e ci sono, soprattutto ora, docenti che accettano di insegnare sul sostegno solo per avere un lavoro e maggior punteggio, quindi non lavorano bene, nel mio caso non stimolavano a sufficienza la mia curiosità e non credevano nelle mie capacità, di conseguenza gli obiettivi che ci ponevamo noi, per loro, erano una perdita di tempo, uno sforzo inutile per me, per cui mi facevano fare il minimo indispensabile.
Ovviamente a questo la mamma e l’equipe medica che mi seguiva si opponevano duramente, fino a quando con l’arrivo di una nuova insegnante di sostegno, la situazione è andata decisamente meglio, anche se bisognava comunque vigilare, altrimenti si lasciavano andare ed eravamo di nuovo nella stessa condizione.
Da qui in poi, ormai, per quello che riguarda la scuola, assodato che nessun ausilio andasse bene per me, ci siamo “rassegnati” alla dettatura; a casa e al centro di riabilitazione naturalmente no, perché stiamo provando di tutto per riuscire a trovare un ausilio che possa permettermi di essere un po’ più indipendente.
Finalmente finita la scuola media, approdiamo al liceo (come al solito c’è sempre qualcuno che non crede nelle tue capacità).
Liceo
Al liceo è stata un po’ più dura, dopo il primo anno frequentato in Sicilia, dove ho avuto il MASSIMO delle attenzioni non solo a livello scolastico ma anche umano (team di insegnanti di classe, di sostegno, assistenti alla persona e compagne, veramente speciali), sono tornata a Milano, e qui sono cominciati i problemi; di sicuro non per colpa della scuola specificatamente, ma perché le disposizioni ministeriali erano cambiate.
Abbiamo dovuto fronteggiare una situazione non facile, con diminuzione delle ore di sostegno e dell’assistenza alla persona, di conseguenza bisognava affidarsi all’aiuto dei compagni e dei docenti di classe (per fortuna molto disponibili).
Non essendo autonoma, ho bisogno che ci sia sempre qualcuno di fianco a me, per cui la figura che al momento mi sta vicino, ha un ruolo prettamente pratico: es. sistemare libri e quaderni per darmi la possibilità di leggere, farmi mangiare, scrivere appunti, sottolineare, al bisogno anche soffiarmi il naso, asciugarmi la bocca o farmi bere.
A causa della riduzione delle ore di sostegno, un docente, d’accordo con me, ha costituito un gruppo di compagni denominato “GRUPPO AIUTO ARIANNA”. I componenti del gruppo si alternavano, mi affiancavano anche quando erano presenti sia gli insegnanti sia l’assistente, non mi lasciavano mai da sola. E cosa importante, se io o la compagna non avevamo voglia di seguire la lezione, dicevamo al docente che avevo necessità di uscire, così ci facevano andare.
Uscivo dalla classe con l’insegnante di sostegno solo se dovevo approfondire qualche argomento, se ero stata assente oppure per fare le verifiche, mentre le interrogazioni le facevo, di norma, in classe, affiancata sempre da qualcuno in grado di interpretare quello che dicevo, perché il mio linguaggio (disartrico) non è molto chiaro.
Siamo finalmente arrivati alla fine del ciclo di studi. Gli obiettivi che ci eravamo posti sono stati raggiunti e oserei direi con successo, visto che oltre al diploma mi hanno anche aiutato a partecipare ad alcuni concorsi letterari, che ho vinto.
Tutto sommato la mia esperienza scolastica è stata positiva, tranne per alcuni momenti in cui non si trovava un punto d’incontro tra ciò che era meglio e utile per me e ciò che non andava bene, perché siamo sempre riusciti a risolvere, anche arrabbiandoci , questi momenti di “crisi”; anche il rapporto con i compagni ha avuto degli alti e bassi, perché, si sa, non si può essere simpatica a tutti, ma sono stata bene anche con loro.
Si sa che non è facile fare l’insegnante di sostegno, ma se si sceglie di seguire questa strada, bisogna farlo con il cuore e non perché dobbiamo per forza lavorare, rischiando di avere l’effetto contrario a quello preposto (facendo stare male l’alunno e di conseguenza non avere un buon rendimento ).
Secondo me chi affianca la persona disabile, sia alunno, sia adulto, deve avere delle qualità ben precise, potrei elencarle tutte, ma una, per ciò che mi riguarda, è molto importante: LA SENSIBILITA’.
Per me l’integrazione è stare bene insieme agli altri, essere accettati per quello che siamo con i nostri difetti e anche pregi, e vorrei che la società ci vedesse come una risorsa e non come un peso.
Vorrei dare un consiglio, se posso permettermi, bisogna fare in modo che la famiglia e la scuola collaborino per il bene dell’alunno e non mollare mai, e le istituzioni non devono impedire la completa integrazione dell’alunno disabile nella scuola.
Arianna Giuliano, 2013
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.123