Potete descriverci gli intenti di queste proposte e quali prospettive offrono?
La legge sul prepensionamento dovrebbe riconoscere il diritto del familiare, che svolge il doppio lavoro di cura di un congiunto con disabilità grave ed una diversa professione, di veder riconosciuta la condizione usurante di tale impegno. E’un processo di riconoscimento legislativo che riguarda però solo una contenuta platea dei familiari impegnati nel lavoro di cura.
Quanto invece chiediamo ora, rispetto al family caregiver, è il riconoscimento dell’impegno, richiesto al familiare di una persona con disabilità grave, di garantire la sopravvivenza e la qualità di vita del proprio congiunto. Il lavoro di cura, quindi, non si esaurisce unicamente con la prestazione assistenziale continua ma comprende l’intera gamma di azioni necessarie al mantenimento di una condizione esistenziale dignitosa di chi ha una disabilità (rapporto con le istituzioni, continuità terapeutiche/riabilitative, supporto nella comunicazione, nella vita di relazione ecc ecc).
“Salvaguardare i legami affettivi della persona con disabilità per raggiungere l’obiettivo cruciale della sua inclusione” (da uno dei post del blog “La Cura Invisibile”): cosa intendete per “inclusione”?
Includere qualcosa o qualcuno è l’opposto che escluderlo. La condizione di disabilità grave ha potenzialmente l’elemento escludente, e il rifiuto e la difficoltà relazionale ne sono la conseguenza. Infatti la tentazione di gestire una presa in carico globale dei bisogni connessi alla disabilità grave, isolando la persona dal suo ambiente per calarlo in un contesto organizzato e funzionale, produce, di fatto, l’alienazione della unicità ed individualità della persona umana che è tale soprattutto attraverso le spontanee relazioni affettive.
E quando i legami affettivi dovessero venire comunque meno?
E’ possibile sopravvivere a lungo senza alcun legame affettivo? Ogni essere umano, a maggior ragione se ha una fragilità generalizzata dovuta ad una condizione di grave disabilità, dà senso alla propria esistenza attraverso i legami affettivi che tende ad instaurare continuamente. All’estero il caregiver familiare non è individuato soltanto come un consanguineo ma, per esempio, in Spagna ed in Inghilterra questo ruolo viene riconosciuto anche ai vicini di casa e/o agli amici, proprio per sottolineare la relazione volontaria che è alla base della cura.
Il familiare potrebbe sentirsi costretto a lasciare un lavoro magari soddisfacente e appagante?
Questo è un punto importante. La certificazione di disabilità grave sancisce una necessità assistenziale globale e continua, 24/24 per 365gg. Lo Stato Italiano, a differenza di tutti gli altri stati europei, riconosce tale necessità esclusivamente quando la rete familiare non esiste più o si è disgregata o perché ha allontanato la persona con disabilità. L’unica risposta legislativamente garantita dallo Stato italiano è l’istituzionalizzazione. Malgrado i proclami legislativi e l’abolizione degli istituti, di fatto l’assistenza e “l’integrazione” delle persone con disabilità riguarda totalmente la famiglia che viene costretta ad un’assunzione di responsabilità che non ha eguali in nessun altro paese europeo. Tanto per citare alcuni esempi aberranti della legislazione italiana, basta ricordare la compartecipazione delle famiglie ai servizi che coprono una parte infinitesimale della necessità assistenziale di un cittadino con disabilità e, per esempio, la recente sentenza della cassazione che lega il ridicolo esborso erogato a chi NON è in grado di lavorare, al reddito del coniuge. Tuttavia l’aberrazione maggiore della legislazione italiana in materia di disabilità non è questa: se da una parte, la quasi totalità dell’assistenza e della responsabilità della qualità di vita di un cittadino con disabilità grava sulla famiglia, dall’altra invece, per lo Stato Italiano la famiglia non esiste. Non ha alcun diritto. Quindi la disabilità di un familiare di fatto diventa una “colpa” che la famiglia deve espiare nella totale invisibilità. E’ da questo che nasce la richiesta di riconoscimento giuridico del familiare caregiver, che è una richiesta di riconoscimento di quei diritti umani inviolabili alla salute, al riposo, al mantenimento di una vita relazionale, compreso il lavoro, che sono sanciti e riconosciuti per tutti tranne che per il familiare caregiver. Attualmente lasciare il lavoro, per un familiare caregiver, è l’unica possibilità di garantire la sopravvivenza al proprio congiunto evitando l’istituzionalizzazione.
La famiglia non rischia di trovarsi di nuovo sola nel sistema di cura della persona disabile grave?
Come già spiegato, attualmente la famiglia è sola nella responsabilità di cura: la scarsità dei servizi territoriali non è altro che la conseguenza del fatto che, anche legislativamente, la responsabilità di un cittadino con disabilità è dei familiari, per cui le istituzioni territoriali possono negare il supporto in base alla disponibilità di bilancio. Il riconoscimento del diritto inviolabile al familiare caregiver alla salute, per esempio, presuppone la necessità di garantire un’assicurazione sanitaria per il lavoro di cura che preveda anche un adeguato indennizzo quando il familiare caregiver si ammala in modo da permettergli l’immediata disponibilità di un budget per una sostituzione. Il familiare caregiver esiste ed è una persona che ha dei diritti, ed è anche attraverso il rispetto di questi diritti che si garantisce il rispetto dei diritti della persona con disabilità.
Chiara Buonanno e Maria Simona Bellini, 2013
de “La Cura Invisibile”
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.122