Ci concediamo uno strappo alla regola. Il libro lo impone. Lo abbiamo letto e per la sua recensione ognuno di noi ha detto la sua.
E’ un vero racconto sincero, scaturito dal cuore di un papà che non ce la fa più, da solo a portare il peso di un figlio come Moreno.
Le qualche durezze che possono sconcertare i perbenisti sono espressione della vita dura che un handicap così grave impone e insieme – se si sa leggere aldilà delle parole – del gran bene che egli vuole a suo figlio, simboleggiato dalla frase conclusiva, quel bellissimo prato di margherite che non si vuol calpestare.
Mariangela, 78 anni
Il dolore, la delusione, la frustrazione di un padre per il figlio gravemente handicappato, “sputati” anche con violenza, ma velati da un’impietosa a volte esilarante ironia.
Riflessioni di un padre che ama suo figlio, ma odia il suo handicap, un padre che combatte il dolore in un corpo a corpo quotidiano con questo figlio a cui cerca di dar voce, esprimendo quelle considerazioni che il bambino non è in grado di esprimere e, probabilmente, neanche di formulare nel suo cervello piccolo come una zigulì.
Rita, 63 anni
“Un padre si specchia in suo figlio gravemente handicappato e condivide con il lettore le drammatiche contraddizioni di uomo, dell’uomo. Con la loro potenza emotiva, alcune immagini non lasceranno facilmente la mia memoria. Un libro importante, profondamente onesto, intollerabile se non fosse per l’amore che ne gronda.
Abbiamo una grande responsabilità dopo aver letto queste pagine: che Moreno, suo padre Massimiliano, sua madre Francesca, i suoi fratelli Jacopo e Cosimo e tutti quelli che vivono questa realtà non si sentano lasciati soli.”
Cristina, 42 anni
Il padre di Moreno, un ragazzo con handicap grave, si trasforma in autore. Ci racconta i suoi dubbi e le sue ferite con l’impostazione di un blog personale: pensieri, anche di un rigo, anche cattivi, anche tristi, vengono estrapolati e riportati su carta liberi da censure. Il risultato finale è unintensa raccolta di testi dal sapore dolceamaro, proprio come tante piccole zigulì.
Matteo, 23 anni
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.117