Io, che non viaggio più, desideravo però fare questo viaggio, accompagnato da Odile, per due motivi: tenere un breve ritiro a queste sette sorelle (e alle Piccole Sorelle di Gesù, in Palestina) ai piedi di questo muro perché esse sono un segno di speranza per il nostro mondo, dove così spesso l’odio prevale sull’amore, la disperazione sulla speranza e dove risulta terribilmente assente l’accoglienza di chi è diverso.
Volevo incontrare anche una piccola comunità, ora progetto ufficiale dell’Arca. Questa comunità di Betlemme, è stata un sogno per tantissimo tempo, un sogno che ha iniziato a concretizzarsi nel 1981, quando il responsabile delle Istituzioni di Israele è venuto all’Arca per chiedere se potevamo farci carico di un Istituto che doveva nascere a Cana, in Galilea, per 220 giovani, di origine araba. Il Responsabile d’Israele ha accettato il nostro rifiuto di operare in una grande Istituzione a motivo della visione della piccolezza dell’Arca. Noi, non vogliamo lavorare con un grande, ma con un piccolo numero e in piccoli case a misura d’uomo. Egli aveva tuttavia promesso il suo sostegno se avessimo iniziato ad operare, in quelli che al tempo, si chiamavano i territori occupati (Palestina). Nell’Ottobre del 1976, Odile aveva visitato il Malja – un piccolo istituto, un ricovero vicino a Betlemme, dove c’erano molti giovani in grave difficoltà, che attendevano un luogo come l’Arca. E’ così che con M.Antonietta, Kathy e poi Francesca ed altri, il sogno è diventato realtà a Betania, una realtà molto fragile, dove la vita è stata messa alla prova dalla chiusura della casa, nel 1991, al tempo della guerra del Golfo. D’altra parte, i legami sono continuati grazie alla presenza fedele di Kathy, di mio cugino Michel de Salaberry e di altri. Finalmente, la vita ha avuto la meglio ed è stata avviata una nuova tappa, qui a Betlemme con Kathy e una donna palestinese, Mahera, che ne ha accettato la responsabilità.
Ero felice di poter visitare questa comunità, di incontrare ciascuna delle persone disabili ed ogni assistente. In questa comunità, cristiani e musulmani operano insieme, celebrano e pranzano insieme, si incontrano in profondità. Si tratta di una vera, piccola famiglia. Essi non vivono insieme come in un foyer, perché ciascuno vive nella propria famiglia ma costituiscono una vera comunità, fatta di relazioni di amicizia, di comunione e di lavoro. Ho visto la loro gioia di essere insieme e posso testimoniare la bellezza di questa realtà. Essi costruiscono presepi ed altri oggetti con la lana delle pecore di Betlemme
Ho potuto annunciare, in una conferenza pubblica in città, davanti a 400 persone per lo più musulmane, il messaggio di pace, di amicizia e di accoglienza del diverso che si vive a Ma’anlil‐Hayat (il nome della comunità). Prima della mia conferenza, c’è stato un semplice “mimo” con tutti i membri della comunità: se aveste visto la felicità dei genitori quando si applaudiva il loro figlio! La pace e la tenerezza, vissute in questo monastero e nella nostra piccola comunità dell’Arca, mi danno speranza. C’è tantissima violenza nel nostro mondo e Gesù è venuto a trasformare questa violenza, in tenerezza. Chiediamo allo Spirito Santo di trasformare le nostre aggressività in questa tenerezza fatta di ascolto e di presenza.
L’Arca, qui come altrove, vuol essere il segno di un luogo di unità e di pace con persone di diverse religioni, segno che scaturisce dalla presenza gioiosa delle persone più fragili della nostra società. Sono loro a chiamarci e a metterci insieme, ad invitarci ad apprezzarci gli uni gli altri.
A Betlemme, ero molto contento di incontrare anche i membri delle due comunità di Fede e Luce, presenti in Galilea. Fede e Luce, prima cugina dell’Arca, pur con modalità diverse, si propone gli stessi obiettivi dell’Arca e continua a crescere in modo meraviglioso nel mondo, incoraggiando tantissime persone. Che meraviglia, questa Fede e Luce nata a Lourdes, nel 1971!
La mia casa, la mia piccola casa, è un luogo dove mi sento così bene! Diverse persone mi hanno chiesto se per me è statodifficile traslocare dalla vecchia casa, dove ho vissuto per 36 anni, alla casa di Lazzaro. Sono profondamente contento di questa nuova dimora. La mia camera da letto, guarda sul giardino e la mattina vedo sorgere il sole. Il mio ufficio, con la sua grande porta vetrata dà sulla cappella e il piccolo “castello“ degli uccelli. Essi si lasciano gradualmente avvicinare e vengono a beccare i semi che depongo nel “castello”. Io rendo grazie per il fatto di poter invecchiare così, circondato dalla mia comunità.
Prendo tutti i pasti nel mio “foyer”, le Val Fleuri, eccetto la colazione, felice che ciascuno mi accolga così come sono. Essere con Patrik, Laurent, Doudule, Anisette, Stephanie e gli altri, è un dono per me. Si tratta di un momento in cui possiamo ridere insieme e dire qualche sciocchezza. Come è dolce vivere insieme come fratelli e sorelle.
Ho la fortuna di vivere vicino alla “Ferme”. Continuo a tenervi dei ritiri, solo alcuni di loro sono inseriti nel programma ufficiale, altri non vi figurano. Sono per gente di strada, per persone che hanno molto sofferto, a causa della rottura del loro matrimonio e per altre persone ancora, che si sentono escluse. Poi sono presente per alcune formazioni dell’Arca.
Continuerò a tenere sessioni sul Vangelo di Giovanni (in inglese e in francese). Grazie a questi incontri, continuo ad approfondire questo scritto ispirato, dove trovo sempre nuovi tesori, che rinnovano il mio sguardo sul mondo sofferente e su Dio che ci chiama alla speranza e ad operare per la pace – anche quando tutto ciò sembra essere impossibile.
In questo momento, nell’emisfero Nord, è primavera: i fiori cominciano a sbocciare e i germogli colorati spuntano dagli alberi. Il canto d’amore della Bibbia dice: “Perché ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata, i fiori sono apparsi nei campi.” (Ct 2, 11-12).
Etty Hillesum, anche nei momenti di terribile sofferenza diceva: ”la vita è bella”. Sì, malgrado gli orrori e le paure, Dio esiste, la creazione è viva, il sole brilla e ci sono tanti uomini e donne colmi di bontà e compassione verso le persone diverse e più fragili. C’è una speranza!
Vi abbraccio,
Jean, Aprile 2012
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.119