I tuoi figli non sono figli tuoi, sono i figli e le figlie della vita stessa. (Khalil Gibran)
È naturale e lecito immaginare e desiderare un figlio sano, intelligente, nel quale magari potersi riconoscere e che possibilmente realizzi quei sogni che non si è riusciti a trasformare in realtà.
Quale molla allora spinge una coppia a scegliere di adottare un figlio con handicap? Il rischio di essere mossi dal desiderio di fare un atto caritatevole è grande o di voler dare prova di essere buoni, maturi e socialmente evoluti, può nascere dentro un senso di sfida: “Io salverò questo bambino!” Ma se poi non si riesce a salvarlo? Oppure lui non si lascia salvare? Che si fa? Si rimanda indietro?
Le ragioni che spingono una coppia ad intraprendere un cammino comunque molto impegnativo e con prospettive incerte, scaturiscono talvolta da una spinta emotiva, quando si è già instaurato un rapporto affettivo dopo un incontro che ha fatto scattare una scintilla di reciproca empatia. In questi casi, spesso da parte dei servizi, viene velocemente proposto un affido e/o un’adozione, semplificando talvolta anche l’iter burocratico. Occorre sempre riflettere con umiltà, con apprensione, con quella dose di preoccupazione necessaria per il futuro di quell’adulto che il bambino diventerà.
Alcune coppie decidono consapevolmente per un’adozione speciale, perché naturalmente aperti verso “l’altro”, anche se diverso, educati all’accoglienza ed alla condivisione, non si sentono eroi, non ostentano alcuna superiorità morale, ma accettano il bambino con handicap con lo stesso spirito con cui molte coppie decidono di non ricorrere all’aborto, amando e curando il proprio figlio anche con la sua disabilità. Questo tipo di approccio è spesso riscontrabile in coppie che hanno già altri figli, con i quali condividono le ragioni della propria scelta e che ritengono l’inserimento in famiglia di un bambino disabile un valore aggiunto per tutta la famiglia.
Quanti hanno ritenuto che la legge sul diritto allo studio che includeva i bambini disabili nelle scuole fosse un potenziale educativo utile per tutti gli alunni e non un atto di benevolenza o al più di giustizia sociale? Non tanti credo! Molti infatti ignoravano e forse ignorano tutt’ora, il potenziale “strumento educativo” costituito dalla presenza in classe di un alunno diverso. All’interno di una famiglia, come nell’intera società, potrebbe avvenire lo stesso scambio, ognuno da il suo e riceve dall’altro quello che l’altro può offrirgli, partendo dal principio che ognuno è nato diverso dall’altro, ma assolutamente uguale davanti a Dio.
Rita Massi, 2012
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.120