Va subito chiarita una verità: non è Benedetta ad aver bisogno di noi nonne; siamo noi ad aver bisogno di Benedetta. Non è un’affermazione retorica o buonista. E’ la pura e semplice verità, constatata quotidianamente in questi otto anni. Sì, fin dal primo istante, noi nonne non ci siamo mai tirate indietro e, pur con tutti i nostri limiti e le nostre debolezze, ci siamo rimboccate le maniche e ci siamo buttate a capofitto in questa incredibile, bellissima – ma a tratti anche dolorosa – avventura unica e irrepetibile che Benedetta ci ha prepotentemente chiamate a vivere. Senza che ci fossimo preparate. Già, non esistono “corsi per nonne con nipotine che hanno la sindrome di Down”. O qualsiasi altra disabilità.
L’incontenibile vitalità di Benedetta, la sua pazzesca voglia di vivere e di esserci sempre e comunque, ci ha costrette a imparare presto a fare i conti con realtà che neppure immaginavamo. Per farla breve, abbiamo dovuto imparare al volo a fare le nonne “speciali” perché “speciale” è Benedetta. Siamo state presenti innanzitutto, sentinelle della speranza, nei lunghi ricoveri in ospedale: soprattutto per l’operazione al suo terzo giorno di vita per la ricostruzione dell’intestino e, a due anni, per la leucemia. Ma, non sembri paradossale, anche in quelle occasioni così di frontiera è stata Benedetta ad aiutarci ad avere la forza di sperare e andare avanti. Per noi era straziante non poterla vedere, non poterle stare accanto, soprattutto quando era ricoverata nella stanza d’isolamento. Nel reparto potevano entrare solo i genitori, sempre presenti giorno e notte. Noi cercavamo di sostenerli. Ma soprattutto abbiamo pregato tanto e così intensamente come mai nella vita. La notizia della sua completa guarigione ci ha dato ancora più gioia della sua nascita. Davvero, come si dice, Benedetta è nata due volte.
Oggi è per noi una gioia infinita vederla piena di energie, di impegni e di amicizie, inserita alla grande in seconda elementare, persino già in grado di leggere e scrivere. Soprattutto vederla felice. Sempre allegra, sorridente, capace di gesti di tenerezza che ci spiazzano. Come quando ci obbliga, letteralmente, ad andare dal parrucchiere per farci belle, come dice lei!
Nonno sei belloccio, ti voglio bene!
Benedetta mette in discussione, costringe a guardarci dentro, non prevede che si cada nella routine. Offrirle opportunità di crescita, sotto ogni punto di vista, significa starle accanto non con superficialità ma con consapevolezza. Anche nel gioco. E’ uno stile di vita che non prevede stacchi: non ci sono ferie in un “lavoro” che è innanzitutto condivisione d’amore. Così stiamo costruendo – non si finisce mai! – una relazione che vede noi nonne in debito. Sì, per quanto possiamo fare, per quanto diamo tutte noi stesse, beh, alla fine, conti alla mano, Benedetta ci dà molto di più. Ci dà vita, forza, speranza, vitalità. Non ci fa cedere allo scoraggiamento o alla tentazione di buttarci giù per il tempo che passa inesorabile. Ci fa sentire meno il peso degli anni: non ci possiamo permettere di sederci in poltrona a non far nulla perché Benedetta è per noi una missione. Allora noi nonne siamo un po’ come i famosi blues brothers – o meglio, le blues sisters… – in missione per conto di Benedetta…
Dunque, essere e fare le nonne di Benedetta è piuttosto facile, perché è Benedetta stessa a insegnarci questo mestiere. Non le manca certo il piglio del comandante, sempre pronta a disporre con precisione come – secondo lei – devono andare le cose. E’ davvero impressionante l’affetto che ci dà continuamente. Un affetto mostrato non solo dai mille baci e dagli abbracci, ma anche da una presenza costante, attenta, dolce. Valga l’esempio del rapporto strettissismo che ha con il nonno, da tempo quasi infermo per un ictus. Benedetta lo va a trovare ogni giorno. Gli si butta al collo e lo riempie di baci e di attenzioni. Lo aiuta ad alzarsi e a camminare, prendendolo per mano. Davanti a lui non fa un capriccio e lo coccola con mille tenerezze. “Nonno sei belloccio, ti voglio bene” gli ripete di continuo, facendolo commuovere e ridere. Ma anche dandogli energie insospettate. Quando arriva Benedetta è come se lui riprendesse vita: si alza in piedi, cerca di essere presente e di parlare. Ecco, abbiamo forse esagerato nel dire, all’inizio di questa nostra condivisione, che è Benedetta ad aiutare i nonni e non viceversa?
Lo sguardo di Dio su di lei
Il Signore ha guardato a Benedetta e , a quanto pare, le grandi cose che fa in lei, sono quelle di un Dio che non fa preferenza di persone. Attraverso l’esperienza di Benedetta possiamo testimoniare che davvero “tutto è grazia”; dalla sofferenza si può sprigionare una forza serena e irreversibile di vita. Gesù continua a chiamare il dolore a compiere il suo esodo dalla disperata inutilità, e, diventare, se unito al suo, fonte positiva di bene, capacità espiatrice e beatificante. Nel soffrire c’è una lucrosa sapienza di Dio, e perciò la vita di Benedetta rimane incomprensibile senza una grazia particolare: davvero lo sguardo di Dio è su di lei, e noi possiamo trarre da tutto ciò un insegnamento salutare, fecondo e un bene sempre più grande.
Ora, questa cascata di bellezza, di vita e di grazia come può essere chiamata “disgrazia”? Eppure è tristemente noto che quando gli ormai esagerati, sistematici e “socialmente obbligatori” test prenatali rivelano una possibilità, persino remota, di “imperfezione”, beh, l’aborto pare addirittura un obbligo “morale”. Chissà, in quelle situazioni i nonni e le nonne potrebbero aiutare a scegliere la vita e non la morte. In un mondo in cui i termini “maternità” e “paternità” sono sicuramente fuori moda (nei fatti più che nelle parole), non è difficile per chi sceglie o accetta responsabilmente di avere un figlio vivere questi stati di vita in modo quasi privilegiato, con un’intensità emotiva tutta particolare e perciò ricca di significati e, di conseguenza, decisiva per la propria vita. E’ un discorso che si allarga all’intera famiglia.
Se fosse possibile, augureremmo a tutti gli aspiranti genitori – e pure agli aspiranti nonni – di avere un bambino come Benedetta (e speriamo che dopo queste righe sia un poco più chiaro il perché…). Ma ognuno ha un suo cammino particolare da percorrere per la ricchezza di tutti. Perciò il nostro augurio di cuore si trasforma così: possa ogni mamma e ogni papà – ogni nonna e ogni nonno – vivere con un’intensità almeno pari alla nostra (in questo siamo fortunate perché ci pensa Benedetta ad aiutarci…) l’esperienza quotidiana della maternità e della paternità, insieme con la serena e responsabile coscienza della bellezza e dignità del proprio umile compito.
Noi nonne possiamo testimoniare – al di là delle convinzioni religiose e delle norme giuridiche – che non c’è orrore, scandalo più grande che non far nascere un tesoro così grande. Un tesoro vero. Nessuno ha mai messo in discussione il diritto di Benedetta a vivere. Neppure durante la gravidanza. Benedetta sente questo amore che l’ha avvolta fin dal principio e tutti noi – familiari e amici – abbiamo sentito a nostra volta il suo amore, fin dal principio. Insomma, senza nascondere paure e problemi, la nostra vita senza Benedetta sarebbe stata diversa e certamente peggiore.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 117, 2012