Grazie
Da tempo ricevo la rivista OMBRE e LUCI che apprezzo molto per gli argomenti, le esperienze e le informazioni che propone. Essi contribuiscono alla formazione e ad allargare le conoscenze di chi legge.
Le varie tematiche, nonostante siano molto impegnative e profonde, a mio avviso, sono proposte in modo chiaro e accessibile a tutti.
Grazie per la dedizione e l’impegno.
Maria Gabriella Rinalducci
Aprire mente e cuore alla condivisione
Ho ricevuto da un po’ la lettera relativa alla richiesta di nominativi di mia conoscenza per proporre la rivista “Ombre e Luci”.
Ho pensato molto alla sua richiesta perché mi sarebbe piaciuto indicare persone disponibili a riceverla, ma non riesco a proporne alcuna e ciò per due ordini di motivi:
1° – Sono avanti negli anni e pensionata e i nominativi che potrei proporre attengono ad anziani e pensionati come me ed oggi, spese in aggiunta al quotidiano non possiamo permettercele.
2° – Nella mia sfera di conoscenti relativamente giovani non ci sono famiglie particolarmente motivate ad approfondire i problemi che la rivista propone.
E’ triste e doloroso dirlo, ma purtroppo quando non si è toccati direttamente si preferisce far finta che l’handicap non esista.
Per quanto mi riguarda, la rivista mi piace molto (ne è prova la mia decennale fedeltà), l’aspetto con ansia e la leggo tutta e subito.
Vi trovo spunti che mi fanno meditare e mi aiutano ad aprire sempre più mente e cuore alla conoscenza e alla condivisione.
Annamaria Russo
Fatima:“tre segreti” di un pellegrinaggio
Sono passati circa due mesi dalla partecipazione al Pellegrinaggio a Fatima, organizzato dalla Provincia LuZitana, per i 40 anni di Fede e Luce. Si rincorrono vive immagini e sensazioni. Scopro dentro di me ciò che, segretamente, mi ha dato questo pellegrinaggio. Cose assorbite in modo inconsapevole, che, oggi, fanno parte integrante di me: sono i miei tre “segreti” di un pellegrinaggio.
Il primo segreto appartiene al mondo dei colori. A momenti di Luce e di cielo terso in cui si stagliava la sagoma bianca del campanile della basilica, si sono alternati momenti plumbei e decisamente piovosi in cui il verde degli ulivi e gli ombrelli erano le uniche note di colore. La mattina che ci recammo a Aljustrel, frazione della parrocchia di Fatima, dove nacquero i tre pastorelli delle apparizioni, fummo sorpresi da un vero e proprio temporale. Ci fermammo presso il pozzo dell’Arneiro dove avvenne una delle apparizioni dell’Angelo e uno di noi leggeva la storia del posto.
Una vecchietta, completamente vestita di nero sedeva sul muretto di pietre grigie. Con la sua corona recitava silenziosamente il rosario. Quello stesso giorno, a causa della pioggia, dovemmo rinunciare a sfilare, pellegrini della gioia, per le strade di Fatima. Ma la sorpresa del verde pistacchio dei poncho della Provincia che ci ha accolto, i colori dei numerosissimi stendardi presero il posto del grigio della pioggia. Non dimenticherò facilmente questi vivacissimi poncho che, per l’intera durata del pellegrinaggio, ho visto in movimento continuo, per incoraggiare, per aiutare, per animare, per accogliere con il sorriso per ogni esigenza. Alle difficoltà di lingua si sopperiva con la luminosità dei sorrisi. Una striscia di stoffa bianca, di circa trenta metri apriva la processione della via Lucis. Sulla striscia erano cucite, con ordine non definito rosette di lana fatte ad uncinetto. Al centro di ogni rosetta brillava qualcosa alla luce del sole che, in quell’ ultimo giorno di pellegrinaggio, brillava in modo deciso. La striscia bianca di stoffa diveniva uno speciale spettro che evidenziava colori: non solo i tradizionali colori dell’arcobaleno ma veramente tutti i colori, comprensivi di tutte le nostre sfumature di Fede e di Luce…
Il secondo segreto è il momento dello Spirito che soffia dove e quando vuole.
Mentre Lourdes è la meta per risanare lo spirito ed il corpo, Fatima è il posto per mettersi in preghiera con e per l’intera umanità. I tre pastorelli, nel 1916, furono preparati alle apparizioni della Madonna da tre apparizioni dell’Angelo che esortava a chiedere perdono “per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano”.
La sera della recita del rosario, le gradinate della grande basilica si andavano lentamente riempendo di piccole luci. Erano tanti altri che, come formiche, con la loro candela, trovavano un loro posto e si aggiungevano a noi.
Anche nella casa di accoglienza dove ci radunavamo per i momenti del pellegrinaggio la cappella aveva la porta sempre spalancata per chi volesse sostare in preghiera, secondo i propri tempi.
Il terzo segreto appartiene a percezioni di Fede e Luce avute a Fatima.
L’accoglienza, si sa è uno dei carismi di Fede e Luce, l’abbiamo avuta semplice e familiare. Eravamo circa in 180 e si aveva la sensazione di partecipare ad un normale incontro di comunità. Ognuno ha trovato il libretto dei canti e delle cerimonie tradotti nella propria lingua e, durante le plenarie, era prevista sempre la traduzione. Se per caso dimenticavi quale fosse l’appuntamento seguente bastava girare il badge, appeso al collo, e trovavi stampato l’intero programma. Il coinvolgimento dei genitori di molti ragazzi presenti mi ha fatto riflettere sulla loro gioia e sul loro essere messaggeri di gioia. Genitori, alcuni anche di età avanzata, pronti a mettersi in gioco: nei ruoli istituzionali, nel mimo della via Lucis, nelle testimonianze. È stato durante la festa che ho visto genitori un po’ appesantiti, un po’ stanchi, un po’ isolati ed “ingessati”, esplodere in un tripudio di energia. Naturalmente c’era anche la gioia dei ragazzi dei quali molti erano adolescenti e la gioia degli amici che non si sono risparmiati. Ma l’avere visto genitori coinvolti più degli stessi ragazzi ed amici è il segreto che maggiormente mi sto portando dentro. Trovo il senso dell’essermi messo in pellegrinaggio, il senso di ciò che ho ricevuto, il senso di un percorso aperto.
Bruno Galante , Napoli,30 giugno 2012 mprende e si accompagna bene qualcuno. Mio nipote a causa del suo handicap è rigido e poco capace di adattarsi agli altri. Tuttavia questa rigidità non gli ha impedito di sentire ciò di cui aveva bisogno una signora che conosceva che era malata e sola all’ospedale. A causa del suo stato di salute a questa donna erano state vietate tutte le visite. Una volta dimessa dall’ospedale, ha raccontato che mio nipote era entrato nella sua camera, si era seduto vicino a lei e le aveva detto: “Non avere paura, io sono qui.” Ed è rimasto così per ore, senza spostarsi. “Mi sono sentita al sicuro” – ha riferito questa donna molto ansiosa- “nessun altro aveva fatto questo per me”.
Essere presenti non è dettato dall’emozione, ma dal desiderio di voler essere vicino all’altro in modo che egli possa sentirsi importante solo perché è lui e per nessun’altra ragione.
Questo”lui” unico può contare solo se è una parte della nostra vita, se ci prendiamo cura di lui come carne della nostra carne.
Ama il prossimo tuo come te stesso
Come accompagnare l’altro? Imparando a voler bene a noi stessi, altrimenti l’altro ci apparirà sempre, come qualcuno che ci ruba un po’ della nostra vita, al quale dobbiamo sacrificarci. Scegliere tra l’altro e se stessi è impossibile perché siamo entrambi importanti.
Volersi bene è avere nei nostri confronti una tenera compassione, non giudicarsi su quanto mostriamo di noi, desiderare ciò che fa vivere, credere in questo mistero di bontà e di bellezza che abbiamo in fondo a noi. Se imparo, piano piano, a volermi bene, il mio orizzonte non smetterà di ampliarsi e “ogni altro” diventerà parte di me. Amarsi con le proprie debolezze, amare l’altro con le sue debolezze, diventeranno un tutt’uno.
Quando si tratta di fragilità, quale priorità dare tra ciò che ci piace di più e ciò che ci piace di meno? Ci piace ciò che si accetta, non ciò a cui ci si rassegna. Non si può negare l’handicap; c’è e può essere estenuante, tuttavia non è ciò che definisce la persona che non può essere identificata con il suo handicap, ma che nasconde sempre un mistero. Emmanuel Mounier Filosofo, 1905 – 1950. Fondatore della rivista “Esprit” nel 1932, avviò il movimento del personalismo comunitario., quando si affacciava sulla culla della sua bimba gravemente handicappata, adorava Dio in lei. Non poteva che darle tutto l’amore di cui aveva bisogno e ringraziarla per tutto quello che lei dava ai suoi genitori, perché in fondo l’altro è un dono.
Cerchiamo di sentire il bisogno di stare insieme
L’altro, malato o handicappato, ha bisogno di noi per necessità e nello stesso tempo per il piacere di stare insieme. È spesso l’isolamento a rendere la sofferenza portatrice di morte. Stare insieme cambia tutto. Non basta che l’altro conti per noi. Ho avuto modo di verificarlo stando vicino ad una vecchia zia in fin di vita: era importante per me, ma non le volevo così bene da avere bisogno di lei.
Qualunque essere umano ha qualcosa da dare… se stesso, prima di ogni altra cosa. Si può essere respinti nella solitudine e morire perché non si ha nessuno che accolga il dono del proprio essere.
Le persone malate o disabili hanno talmente l’impressione di non servire a niente che debbono sentire che siamo poveri perché possano farci dono, a volte anche senza saperlo, di ciò che desiderano ardentemente offrirci.
Ma noi abbiamo veramente fiducia nell’altro, specialmente quando l’immagine che ci offre di sé non è quella della forza? Se sì, allora non
cercheremo più il suo bene in ciò che noi riteniamo essere il suo bene, ma piuttosto in ciò di cui egli ha bisogno.
Che cosa vogliamo?
La scelta che ci viene continuamente proposta è quella tra le forze della vita e quelle della morte. Non possiamo arrivare a tutto, ma abbiamo la possibilità di scegliere la vita. Scegliere la vita, “è andare dove non si sa, per una strada che non si conosce”. Scegliere la vita, è stare insieme. Il “noi” che formiamo insieme, con tutte le nostre miserie e le nostre ricchezze riunite, è fonte di vita rinnovata, a tempo indefinito.
Nicolle Carré , 2012
Ombres et Lumére n. 185
(1) Filosofo, 1905 – 1950. Fondatore della rivista “Esprit” nel 1932, avviò il movimento del personalismo comunitario.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.119