Perché mettere vicine due entità così lontane, perché parlare di “bello” mentre parliamo di handicap fisico, mentale, psichico? È un pensiero che mi tormenta da tanto tempo: da quando sono rimasta allibita al racconto di un’amica che, già anziana, mi parlava di un episodio accadutole quando era solo una bambina. Faceva parte di una numerosa famiglia, tanti fratelli e sorelle, che nell’occasione del Natale si mettevano tutti lindi e lustri in posa per la fotografia dell’anno. Quell’anno però, al momento della foto, il suo papà le disse:” Tu, Erminia, vai in camera tua!” esclusa tout-court, senza spiegazioni.
Il motivo? La bambina durante una corsa in macchina con il suo papà, in un incidente, ebbe la gambina destra rovinata e deturpata per sempre! “ Per questo, vedi, io porto sempre i calzoni!”
O a quello di una mamma di una ragazza disabile ventenne che fino ad allora non aveva mai manifestato il suo dolore per non essere proprio una “bella ragazza”. La trovò un giorno davanti allo specchio della camera che piangendo gridava: “Perché mi hai fatto così brutta! Perché non mi hai abortito?”
Molti altri esempi si potrebbero portare per sottolineare, se ce ne fosse bisogno, di come purtroppo l’handicap, lieve o grave che sia, evidente o nascosto, provoca negli altri il contrario del sentimento che provoca il bello, ciò che piace… è un senso di smarrimento, di fastidio, di repulsa, di rifiuto… purtroppo difficilmente frenato o tenuto nascosto. Qualcosa traspare sempre anche in persone che non vorrebbero mai manifestarlo.
Questo, porta a volte, a conseguenze estreme, provoca in chi è portatore di handicap un grave malessere, una grande tristezza, un grande dolore, a seconda della sensibilità di ogni persona, che dura tutta la vita.
“Forse potevo dimostrare che c’era del buono in me, che mi si poteva voler bene, perché valevo e non solo per un senso confuso di protezione o di colpa”. (1)
Perché parlarne allora? I lettori di Ombre e Luci saranno stanchi di sentir ripetere le stesse cose. Chiedo loro venia. A me questo argomento sta molto a cuore, perché mi pare che con un po’ di conoscenza e di riflessione, si possono o si potrebbero evitare, ferite inutili e “cattive”.
Sì, è proprio così: per chi è già ferito da un handicap che lo porta a considerarsi poco piacevole a sé e agli altri, diventa un vero insulto sentirsi “giudicato” perché non si è o non si appare secondo i canoni stabiliti dall’estetica.
A queste persone, già provate da sempre, è difficile capire che la bellezza non dipende solo dall’esteriorità. Capire che ciò che piace in una persona è il modo con cui si presenta, il sorriso che illumina il suo volto, è come entra in relazione con gli altri, è la gioia di vivere che sa trasmettere a chi le è accanto, è la generosità e la benevolenza che dimostra…
Per fortuna molte di loro sono state educate e spronate da genitori in gamba che fin da quando erano bambini hanno inculcato loro le “regole del vivere bene” per essere portatori di una bellezza che non sfiorisce, che anzi migliora col tempo.
Predicozzo insulso? Irrealtà? Frasi fatte? Può darsi. Spero ugualmente con tutto il cuore di avere aperto uno spiraglio per quanti non sanno come fare per manifestare la loro simpatia a tutti quelli che, per un difetto più o meno grave, si sentono avviliti e persone di categoria B per tutta la vita.
Per me che vivo da cinquant’anni circondata da persone con handicap, a me cui sembra così normale volere il loro bene, è diventato un imperativo categorico fare attenzione a non elogiare scioccamente chi “è bello”, piccolo o adulto che sia, mentre mi viene spontaneo sottolineare gli aspetti positivi delle persone disabili che incontro, amiche o sconosciute.
Vorrei che qualcuno di voi mi scrivesse qualcosa in proposito che non sia, come mi accade spesso quando parlo di questo: “Ma cosa vuoi, è normale che ci si senta attirati da chi è bello”, verità che condivido, ma che non perdona le tante sciocchezze che tutti facciamo in presenza di qualcuno che bello non è.
Chiudo ricordando un episodio significativo in proposito che mi ha raccontato una mamma di un bambino disabile in carrozzella, e che esprime bene il mio povero dire: “Mamma, dice il bimbo, perché tutti ci guardano?” e la mamma : “È perché siamo belli!”
Mariangela Bertolini, 2012
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.119