In questo momento della mia vita svolgo il servizio civile a CASA BLU, una casa famiglia per disabili gravi, della cooperativa sociale Spes Contra Spem. Anni or sono mi facevo molte domande su di me in rapporto all’altro e mi incuriosivo alla persona per “come è fatta dentro”. Cominciavo a leggere libri di psicologia e ad interessarmi all’argomento attraverso vari mezzi, dalla radio fino al multimediale. Ma, fin da piccolo, nasceva in me anche la voglia di aiutare l’altro, di essergli vicino, di poter fare qualcosa per aiutare chi aveva bisogno di una mano. Così ho frequentato la mensa della Caritas e, più avanti, delle associazioni di volontariato sociale. Avevo voglia di fare del mondo un posto migliore.
Arrivato alla soglia dei 20 anni ho intrapreso gli studi in psicologia e man mano che studiavo mi rendevo conto dell’importanza che ha il poter “mettere le mani” in ambienti dove vi sono persone che hanno bisogno di un aiuto. Allo stesso tempo mi trovavo a confrontarmi con una realtà economica carente e quindi avevo necessità di poter guadagnare. Ho scelto così di fare domanda per svolgere il servizio civile a Casa Blu.
Questa scelta rappresentava soprattutto una possibilità di impegno nella relazione. Forse non me ne rendevo conto ma avevo voglia di vedere quali risorse avrei scoperto a contatto con questa realtà: si trattava di prendersi cura di persone e contemporaneamente di mettersi in gioco.
Ogni giorno quando incontro una delle persone cui offro assistenza, questa relazione, le sue domande, le sue resistenze, il suo sguardo a ricercare il mio, le sue difficoltà, le sue risorse qualche volta non alla luce del sole, mi fanno interrogare su di me. Sul mio modo si stare con gli altri, sul mio modo di gestire i miei bisogni e desideri a contatto con i bisogni e desideri di altre persone, sui confini che ci definiscono nel rapporto con l’altro: dove inizio e finisco io e dove inizia e finisce l’altro.
Quello che faccio ogni giorno a Casa Blu ha una funzione manuale e relazionale. Aiuto gli abitanti della casa a svolgere compiti che per la loro disabilità non riuscirebbero a svolgere e mi relaziono con loro portando avanti un progetto educativo condiviso che li spinga verso una responsabile autonomia. Il contatto con loro, anche se a volte privo di parole, mi sta facendo pian piano avere un rapporto diverso con la vita, mi fa interrogare su ciò che per me è importante. Mi aiuta a scavare dentro di me e a dirigermi sempre più verso ciò che è vita!
Quando ad esempio devo aiutare uno dei ragazzi emerge chi “è” davvero ognuno di loro e nello sguardo che incrocia il mio e cerca accoglienza, sperimento io stesso un’accoglienza che mi dà riconoscimento, mi riempie e mi porta a scoprire qualcosa oltre i bisogni e i desideri del momento. Credo che quei momenti siano istanti di vera vita.
Dopo quasi tre mesi di questa esperienza posso dire che oggi guardo l’altro che incontro per strada in modo diverso. Sono più attento ai suoi bisogni.
Credo che un ‘esperienza così sia una vera “leva per la vita”. Un’esperienza di questo genere potrebbe essere utile a tutte le persone per sensibilizzarsi all’altro e anche per capire un po’ meglio alcune priorità. Le persone con disabilità sono persone come noi e, come noi siamo diversi dagli altri, anche loro lo sono. Forse nella nostra società viene troppo enfatizzata la disabilità come un peso, non vengono messe in evidenza le risorse che porta ad ognuno o non viene considerato il solo fatto che la diversità e la disabilità esistono in tutti noi. Forse basta solo accettarci per farla venire a galla.
Una ricchezza mi arriva anche dal rapporto con gli altri operatori. Parlare con loro dei nostri comportamenti in relazione a quelli dei ragazzi mi ha aiutato a vedere che ognuno ha delle debolezze. Ci si può aprire all’altro, confidarsi, aiutarsi e diventare così più forti; scoprire anche che chi ti aiuta è quella persona che, ad un primo impatto, non valutavi come portatore di risorse. Insomma, nelle diverse riflessioni e comportamenti per affrontare alcune situazioni, dopo poco ho cominciato a vedere la varietà di modi del venire incontro ai bisogni dell’altro.
Davvero la persona, ogni persona, è ricca!
Emanuele Sapore , 2011
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.114