Di “Fede e Luce” non sapevo nulla; conoscevo un po’ la figura e qualche testo di Jean Vanier, ma niente di più. Quando mi hanno dato una prima sommaria spiegazione (i ragazzi, le famiglie, gli amici, …), a farmi accettare è stato, più che il desiderio di fare volontariato, la voglia di conoscere persone che sono a contatto quotidiano con la disabilità e di vedere come sia possibile vivere questa realtà “alla luce della fede”.
Ad alcuni mesi dalla mia prima casetta, è ancora questo desiderio di ascoltare e imparare che mi accompagna; credo che tale atteggiamento, oltre ad essere una condizione fondamentale nell’affrontare qualcosa che si conosce poco o per nulla, nel mio caso mi abbia custodito da quella sensazione di impotenza e dal conseguente imbarazzo che forse sono inevitabili ad un primo impatto.
Così, una volta preso atto della mia povertà, mi sono accorto che nel contat24) to con i ragazzi, vissuto in semplicità, cadono molte di quelle barriere che spesso viziano e falsificano i rapporti tra persone “normali”; la comunicazione diventa, ad un tempo, più elementare e più autentica: gesti che in altri contesti appaiono banali si rivelano potenti e pieni di significato. Per non parlare di certe intuizioni ascoltate dai ragazzi, che mi hanno lasciato a bocca aperta per la loro profondità. Iniziando a conoscere i familiari dei ragazzi, ho scoperto persone in cui la fatica quotidiana e la sofferenza hanno prodotto una grande solidità e maturità umana, mentre in situazioni simili incontrate altrove ho visto rassegnazione e incupimento. In questo, credo che abbia un’influenza determinante il clima di fraternità e condivisione che si respira in “Fede e Luce”. A determinare questo clima contribuiscono molto gli “amici” con la loro generosa disponibilità. In un tempo che sembra dominato dall’indifferenza degli uomini verso Dio, in “Fede e Luce” ho trovato una grande sensibilità, sia quando ho ricevuto delle belle testimonianze di fede, sia quando mi sono trovato ad ascoltare domande difficili o ho colto perplessità e inquietudini espresse solo da uno sguardo.
Seguendo il cammino di “Fede e Luce” mi sono soffermato più volte a riflettere su che cosa sia la “gioia”, una parola che pronuncio con un certo pudore, temendo di aggiungere un ulteriore abuso ai tanti che già subisce. La gioia che si respira qui non è un evadere dalla fatica quotidiana o un dimenticare deliberatamente i problemi. Credo che si tratti invece della capacità di saper riconoscere e accogliere con gratitudine ciò che è essenziale, di una condivisione in semplicità e letizia di ciò che si è e si ha, di un “portare i pesi gli uni degli altri” che trasforma un carico insopportabile nel “giogo leggero” che Gesù chiede ai suoi discepoli di prendere su di sé.
Chi guarda con gli occhi della fede a queste persone che camminano insieme non si ferma a constatare umanamente che tutte, in forme diverse, ne traggono beneficio, ma scorge nella loro comunione un segno della presenza viva del Signore Gesù. Il cuore di questa presenza, che si irradia in tutti coloro che appartengono a “Fede e Luce”, sono proprio i ragazzi, quei “piccoli” con cui è Gesù stesso a identificarsi.
Essere prete dentro “Fede e Luce” per me rappresenta contemporaneamente una sfida e un aiuto a vivere il ministero. Una sfida perché quella del prete è una figura intorno a cui si concentrano, solitamente, una serie di aspettative positive, a vari livelli. Senza lasciarmi fagocitare da queste attese, cerco di essere un compagno di cammino che, all’occorrenza, si fa portatore di una parola speciale, la cui forza e autorevolezza non provengono da lui, ma da un Altro, degno di fiducia. A questa parola spero naturalmente di unire anche una corrispondente testimonianza di vita. Il contatto con i ragazzi, i familiari, gli amici è inoltre un grande aiuto per il mio ministero perché tiene viva e chiara in me l’immagine del volto di Cristo, che così spesso rischia di essere annebbiata o deformata da tante cose di poco conto.
Mi rendo conto che quanto ho scritto qui sulla mia esperienza in “Fede e Luce” forse non può dirsi una “testimonianza” vera e propria; sono piuttosto le prime impressioni di un cammino ancora agli inizi, in cui tuttavia intravedo grandi possibilità di crescita umana e spirituale. Questo mi spinge a raccomandarlo a chiunque, giovani in particolare, voglia superare il muro della superficialità e vedere la vita umana con occhi nuovi.
Don Antonino, 2011
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.115