Forse solo per questo, mi sembrava che i presenti guardassero, o meglio scrutassero i nostri ragazzi in un modo cui non siamo più abituati. Roberto, Michela, Giovanni, giulia, e gli altri non erano per loro i nostri amici di sempre, con particolari qualità, abilità e caratteristiche, ma genericamente “diversi”, diversi dai ragazzi, figli, amici, compagni, lì riuniti per fare festa.
Era solo una mia sensazione? Può darsi ma alcune occhiate, alcuni silenzi, il modo con cui ci si rivolgevano mi mettevano a disagio. Dopo i primi momenti, però, ho avuto un’altra sensazione che al contrario, mi ha messo una grande allegria. Ho avuto la certezza, ‘infatti, ch tutti noi, amici e ragazzi, eravamo in realtà coinvolti in uno stesso giudizio, perchè non eravamo facilmente distinguibili gli uni dagli altri.
Bisogna dirlo, noi accompagnatori, non apparivamo nella forma migliore. un po’ provati dal trasbordo da Roma e dalla camminata a piedi, poco abbigliati per una serata di festa, innervositi per la stanchezza e il frastuono del karaoke, con le nostre piccole manie e insofferenze evidenziate dalla situazione, con gli alterchi per dove sistemarci, le battute fuori posto, i gesti maldestri… sì, eravamo realmente “diversi” dal resto del pubblico presente, quindi, noi del nostro gruppo risultavamo tutti “diversi” allo stesso modo… indistinguibili.
Solo più tardi, dopo la cena laboriosa, quando la musica con l’abilissimo D.J. si è vieppiù scatenata e i nostri ragazzi instancabili si sono alternati al microfono ed esibiti nei balli di gruppo, allora si’, noi accompagnatori ci siamo veramente rivelati per quello che eravamo: “diversi”. “Diversissimi”, stramazzati sulle sedie, solo vogliosi di silenzio e di morbidi letti su cui stendersi.‘.
Pennablù, 2011
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.113