Nicola è nato negli anni sessanta, molto prima della legge Basaglia. La scuola e la famiglia (il padre è un pastore, la metafora è un piccolo capolavoro), le Istituzioni, non sono’in grado di aiutarlo, di ascoltarne e magari interpretarne il disagio, anzi vengono mostrate come la prima vera forza distruttrice del suo delicatissimo meccanismo interiore, portandolo così;/.giovanissimo, quasi naturalmente, in manicomio.
Il manicomio, la terza Istituzione, sicuramente non’a caso contrapposta o addirittura sovrapposta alle altre due, è quella che saprà accoglierlo, dargli delle regole da rispettare, delle linee da seguire ma che:saprà farlo diventare un perfetto “matto”.
Ma il racconto di questo percorso di distrué zione dell’individuo nel film non c’è. Non è la violenza, non è l’elettroshock, solo evocato, che Celestini vuole farci. conoscere; perché il suo interesse di Autore empatico che entra nei personaggi (che sono prima di tutto persone vere, con vere storie di sofferenza che hanno avuto la forza di raccontare, mentre lui ascoltava con una capacità sorprendente di farsi “altro”), è restituire lo smarrimento‘emotivo del suo personaggio, di trasformare in poesia il suo mondo interiore. di..gioia,.amore e dolore, di spiegarci che lo sgomento maggiore non.lodà tanto il male subitorguanto la totale incapacità di comprenderne il perché.
“Diventando” la pecora nera Celestini ci regala il suo atto d’amore verso gli ultimi, gli inascoltati ed è impossibile, visto l’argomento trattato e la forza emotiva trasmessa, non ripensare a Marco Lombatdo Radice (il “rivoluzionario” neuropsichiatra Infantile che nei primi anni ottanta sperimentò percorsi terapeutici basati soprattutto sull’ ascolto delle necessità dei bambin e sulla compensazione delle ‘loto carenze affettive). E torna alla mente la sua emblematica citazione, volta in senso autobiografico, del brano centrale del Giovane Holden: “Sai quella canzone che fa : Se scendi tra i campi di segale, e ti prende al volo qualcuno?… Mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno una partita in quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlordi un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che’stanno per cadere dal dirupo e io devo saltare fuori da qualche posto e acchiapparli. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale.”
Fabrizio Aglianò, 2011
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.113