La seconda cosa alla quale siamo stati attenti è di essere presenti con lei al massimo, preservando però le nostre forze. Per questo, ormai da vari anni, non restiamo a dormire presso di lei in ospedale, e ciò costituisce un importante risparmio di fatica.
Tuttavia restiamo molto con lei, cercando di essere lì per i pasti, nei periodi in cui può mangiare. Molto spesso il papà è con lei la mattina, al momento del risveglio e la sera, mentre io vado durante il giorno. Qualcuno potrebbe dire che questi sforzi non servono a granché, che è indifferente andare o no. Tuttavia la vita stessa di Philippine pone questa tipo di domanda: se lei è come un “vegetale” ed è assurdo occuparsene, oppure, è un essere umano che ha bisogno di amore ed in questo caso la nostra presenza amorevole ha sempre senso, anche se non ne abbiamo alcuna prova tangibile, ma la fatica talvolta è alleviata anche solo da un sorriso che ci fa capire che lei è contenta.
La nostra presenza è apprezzata dal personale sanitario, spesso disorientato dall’handicap e dal fatto che non parla; il personale preferisce infatti che siamo presenti per aiutare a decodificare le condizioni di Philippine: come si sente, se ha male o no, se ha bisogno di qualcosa.
Infine l’ultima ospedalizzazione mi ha obbligato ad affrontare la questione della morte, sempre in maniera molto inquietante e a dire di nuovo sì alla vita di Philippine, cercando di continuare ad avere fiducia.
Sophie Lutz, 2011
Ombres et Lumiére, n. 180
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.115