Mi chiamano da casa: ha telefonato zia Mariangela, la puoi richiamare stasera alle sei e mezzo? Io sono al lavoro, anche oggi una giornata lunga, un faticoso colloquio con una figlia per decidere cosa è meglio per suo padre colpito da un ictus devastante. Cosa vorrà Mariangela? Cosa posso fare io lontana 600 Km? Proprio ieri ho letto O&L e l’articolo di Mariani mi ha infastidita e sollecitata a pensare, Mariangela ha un sesto senso e proprio per questo mi chiama.
Forse ha pensato a me perché medico specializzato in malattie neurologiche degenerative, o perché mamma con una piccola storia personale di scelta della vita, o forse perché amica di F&L da sempre.
Sa che questo argomento mi sta a cuore e che ho sempre voglia di capire e far capire che non c’è una soluzione unica, che nel mondo reale le sfaccettature sono molteplici, le persone sono tutte diverse, le loro storie il loro passato, gli affetti che le circondano, le motivazioni delle loro paure.
A tavola con due psicologhe e un neurologo: “ma voi medici potete decidere se attaccare un respiratore o meno?” Risponde il mio collega “Di attaccarlo sì, di staccarlo no”.
Una legge che ci dice cosa “possiamo” e cosa “non possiamo” fare ci deve essere, ma credo non debba costringerci ad andare contro la persona per salvarle la vita.
Ci chiedono da che parte stai? Sarò vile ma non sono in grado di rispondere con sicurezza alle domande: ma questa è vita? Ma è giusto proseguire nelle cure se non ci sono speranze di guarire? È giusto l’aborto terapeutico? E’ giusto che la vita ci porti a queste scelte?
Ogni scelta piccola o grande, importante o ininfluente può essere criticata e messa in discussione, ma se viene decisa insieme, dopo un discernimento e una elaborazione, consapevoli che lo scopo ultimo è la pienezza della vita umana, forse rischiamo di fare qualche sbaglio in meno.
Mi chiedo perché per i malati terminali oncologici c’è l’hospice e per quelli neurologici no? Dov’è il confine? Chi lo determina? Forse qualche legge che aiuti le scelte con maggior consapevolezza e condivisione ci vorrebbe. Ma ci vorrebbe anche una educazione alla consapevolezza: l’Uomo non è nato per soffrire ma, ahimè, soffre e sta nell’Uomo trovare tutti i modi per essere felice e gioire.
Due cose belle
È stato possibile organizzare un percorso di arteterapia con i “nostri” pazienti Alzheimer, vengono guidati, da Eleonora, ogni giovedì, ad esprimersi tramite arti grafiche molto serie e elaborate, con lo scopo di ritrovare il senso e la profondità nascosta che queste persone apparentemente hanno perso.
Ho rivisto a Loreto il filmato di Jean Vanier a Lourdes nel ’71. Il suo sorriso vicino a ragazzi che venivano trasportati giù dall’aereo sui lettini o in carrozzine. La spinta che ha permesso il pellegrinaggio e la nascita di FeL è quel sorriso, quella gioia ricercata a qualsiasi prezzo. La gioia piena, condivisa, scandalosa e incompresa, a questo dobbiamo educare i nostri figli.
Francesca De Rino, 2011
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.116