Mia madre due anni fa ha deciso con determinazione e in tutta autonomia di andare a vivere in un pensionato. Ormai sola da oltre dieci anni, viveva e vive tutt’ora in un paese dei castelli romani, a pochi chilometri da Roma dove io, figlia unica, abito con la mia famiglia.
La sua discreta autonomia, un piccolo aiuto domestico e la vicinanza di persone amiche, le hanno permesso di gestirsi abbastanza bene nel quotidiano, fino a quasi novanta anni, sempre però con mia crescente preoccupazione e costante impegno per recarmi da lei, per sostenerla in cento piccole o grandi incombenze: dalle visite mediche, al rubinetto che perde, dalle fettuccine fatte a mano, all’assistenza in caso di malattia etc. Il tutto fatto spesso di corsa, cercando di conciliare famiglia e lavoro e percorrendo comunque vari chilometri avanti e indietro.
Tanta fatica raramente era associata alla consapevolezza di essermi resa veramente utile e comunque sempre con la sensazione di non aver fatto abbastanza! Sentivo mia madre sola nella sua casa, una vecchia casa di paese con tanti problemi di manutenzione, con urgenti lavori di restauro da fare, lavori a cui mia madre sistematicamente si opponeva, forse perché con la vecchiaia si diventa un po’ troppo “parsimoniosi”, ma anche perché diceva che non ne valeva la pena, tanto lei un giorno se ne sarebbe andata in un pensionato. Frase questa che sembrava uno stereotipo… allora non pensavo fosse la sua vera intenzione.
All’approssimarsi dei fatidici novanta anni, ho cominciato a prospettarle l’idea di prendere una badante… la sua reazione è stata subito dura, decisa e lapidaria: “Io in casa mia non voglio estranei!” Non c’è stato verso di convincerla finché un giorno, caduta in casa, per fortuna senza conseguenze, ma con molto spavento da parte di tutti, mi ha detto: “Voglio andare dalle suore qui del paese, per sapere se mi possono accogliere nel loro pensionato, ci sono tante persone che ci vengono da Roma, perché non posso andarci io che vivo qui?” Non sono riusci ta a farle cambiare idea, ho cercato di farle capire quanto fosse meglio restare a casa sua con una persona accanto che potesse aiutarla ed assisterla nelle sue necessità; io avrei vigilato costantemente sul suo operato, ma niente da fare, sono stata costretta ad accompagnarla dalle sue suore, con infinita angoscia e ingoiando lacrime!
Le suore furono subito molto disponibili all’accoglienza, il posto è bello, la retta discreta, non certo modesta e mia madre ha confermato il suo proposito: “non voglio più avere pensieri, sarà come prendermi una lunga vacanza!”.
Una fredda mattina d’inverno (non scherzo, veramente era freddo e pioveva a dirotto) ho accompagnato mia madre con una “prima” valigia dalle sue suore, a meno di due chilometri da casa sua. Non riesco a descrivere quello che mi è passato nel cuore: tristezza, angoscia, rimorso… ma, debbo ammettere, anche un certo senso di tranquillità. Eh già, perché finalmente sapevo che mia madre andava a stare insieme ad altre persone e che in caso di bisogno le sarebbe bastato chiamare e qualcuno sarebbe subito corso; mi consolava sapere che quella sera e nei giorni seguenti anche la “solita minestrina” l’avrebbe condivisa con altre persone.
In seguito pur vedendo che stava bene il malessere me lo sono portato dentro a lungo inevitabilmente mi sono sentita la figlia degenere che lascia la madre al “ricovero”; quante volte mi sono rimproverata di non aver insistito abbastanza per portarla a Roma da mel Pur sapendo che questa non era una soluzione praticabile e giustamente non accettabile per lei che si sarebbe sentita costantemente un’ospite, in una casa che comunque non è la sua e peraltro estraniata dal suo contesto. Accanto a questo malessere però confesso che la mia ansia costante è andata pian piano attenuandosi sempre più, anche se continuo a fare chilometri per andarla a trovare molto spesso.
Ora non mi sento più assillata dal doverlo fare perché spinta dalle sue necessità o dal fatto di saperla da sola. Ci vado per il piacere di stare con lei!
Quante volte ho sentito velate espressioni critiche da parte di alcune persone, critiche che apparentemente non ho raccolto, ma che mi hanno ferito, ma anche spinto a riflettere se quella sia stata proprio la scelta giusta.
A quasi due anni da quella fredda e piovosa giornata di inverno, penso che, giusta o sbagliata, quella è stata la sua scelta, la migliore per lei, anche se sono sicura che lo ha fatto anche per me!
M.G.M.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.112