Si tende oggi a credere che, con l’assistenza più avanzata da parte della sanità, con l’integrazione a scuola e altri aiuti, non sia così difficile e doloroso far crescere ed educare un bambino disabile. È indubbio che le “cose” sono migliorate e che i genitori non sono più soli come anni fa.
Quando però la disabilità è complessa e misteriosa, le “cose” sono un po’ più complicate. Le mamme, per quanto aiuto possano avere da istituzioni, da parenti, da medici, si trovano in prima persona ad affrontare e a vivere sentimenti duri da portare: domande inquietanti (chi è questo bimbo misterioso? Come posso capirlo? Che senso ha la sua vita?; ribellioni e rivolte (perché proprio a me che sono così fragile? Dov’è, Signore, il tuo aiuto?); sensi di colpa (che cosa ho fatto di male? Non sono capace di amarlo come dovrei…); incapacità di far fronte alla sua vita così diversa (se almeno potessi capire che cosa c’è in lui! Perché non reagisce alle mie sollecitudini? Come posso accettare che lui sia così distante da un bambino “normale”?
A noi di saper leggere in atteggiamento di grande umiltà le loro parole senza farcele scivolare addosso con superficialità. Ognuna di esse, infatti è piena di lacrime silenziose e dovrebbe entrare nel nostro cuore come un richiamo alla com-passione, al portare insieme la loro pena e la loro difficoltà.
Così è per tutte le pene e le sofferenze dei nostri fratelli. Guai a noi se distogliamo lo sguardo e diciamo — come spesso facciamo — che non possiamo “farci niente”. Guai a noi se chiudiamo il nostro cuore al grido di dolore di tante persone che non sentiamo perché non ci sono accanto.
Imparare a soffrire con gli altri è un primo grande passo verso quella pace del cuore cui tutti aspiriamo: essere fratelli non a parole ma portando insieme i pesi gli uni degli altri, ogni giorno, là dove ci troviamo.
Speriamo che tutti i genitori che si trovano in una situazione dolorosa e difficile da superare possano dire — come la vedova del commissario Calabresi – “Io non ce l’ho fatta da sola. Ce l’abbiamo fatta. Tutti insieme, perché la solidarietà, le strette di mano, le preghiere della gente non mi hanno fatta sentire sola, mi hanno dato forza e io ho sentito intensamente questa comunione di persone”.
Mariangela Bertolini, 2010
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.109
Sommario
Editoriale
Essere mamma... di M. Bertolini
Dossier: Essere mamma
Sono in un furioso stato di accusa di S. Lutz
Che senso ha la vita di mio figlio Paolo? di M. Amelia
Altri articoli
Un crocifisso silenzioso di N. Ginzburg
Deboli e forti trovano il loro posto di J. Vanier
C’era una volta la città dei matti di Pennablù
Esperienze
Dove tutto è diverso da tutto di G. e L. Sauve
Tutti tranne uno saliti a cavallo di E. Attanasio
Libri
Quali mani asciugheranno le mie lacrime?. M. Kamara con S. McClelland
Con Cristo sulle strade del mondo, don T. Bello
Tre tazze di tè, G. Mortenson, D. O. Relin
Nuovo dizionario della disabilità, dell’handicap e della riabilitazione, R. Pigliacampo
Pulce non c'è, G.Rayneri
Rubriche
Dialogo Aperto
Vita Fede e Luce: Eilaboun a casa di Sammaher di Lucia, Angela e don Marco
Lo sapevate che...?
Vita Fede e Luce n.109 – Eillaboun a casa di Sammanher