È la foto che teniamo attaccata da anni sul frigorifero di casa e ora rispunta in pompa magna nientemeno che alla festa per i vent’anni del Carro. E’ come se in un attimo ci venisse rimesso il peccato di non saper dire alle persone a cui vogliamo bene quanto bene gli vogliamo davvero.
Ecco, ci è sembrato che la celebrazione per i vent’anni del Carro sia stata una specie di giubileo in cui la misericordia del Padre e la grazia di farci rivedere tanti (uno fra tutti: Filippo, a cui ci lega una tenerezza indicibile) siano state profuse senza risparmio. Si vede con gli occhi e si sente col cuore, andando al Carro, che tutti quelli che son passati di lì in questi anni, salariati o volontari, ospiti o residenti, contabili o cuochi, tutti quelli che in qualche modo sostengono la comunità e che noi non conosciamo più per nome perché gli anni passano e le persone si avvicendano secondo i progetti sovrabbondanti della Provvidenza, tutti tutti si sono dati e si danno senza avarizie e senza calcoli. Aveva ragione don Benedetto: eravamo belli quel pomeriggio, l’amore di Dio ci faceva belli. Ma purtroppo non stupidi!
E allora, come in tutte le occasioni in cui si ritrovano le famiglie di Fede e Luce, dove c’è un figlio o una figlia feriti, la domanda — inespressa — aleggiava: ce la farà il Carro per altri venti o cinquanta o cento anni? Basteranno i soldi, le energie, i carismi spesi per dare continuità a questo crogiuolo in cui si cerca di fondere il “freddo” dell’efficienza e il “caldo” dell’affetto? Noi pensiamo di sì, ma lo pensiamo così, di slancio e senza rifletterci troppo.
Lo diciamo con lo stesso sorriso sulle labbra di quando leggi una poesia che ti piace e non sai spiegare perché.
Vito Giannulo , 2010
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.111