Da cosa si definisce la vecchiaia? lo direi da una sclerosi del corpo e dell’anima insieme, alla quale conducono diversi fattori, al primo posto dei quali, la salute. Ma non soltanto! Per esempio, la più anziana della casa dove vivo, a 104 anni, gode di tutte le facoltà mentali. È il corpo che si usura e non risponde più, Una sua assistente ogni giorno si occupa delle cure personali e la porta al ristorante a mezzogiorno. Anche se la sua vista e udito sono deficitari, lei riconosce tuttavia chi la saluta quando passa; per il timbro della voce che conosce bene e vi risponde chiamandovi per nome.

Per contro, è difficile vederne alcune diminuire giorno per giorno, perdere i punti di riferimento, fino a cadere nella senilità e a volte nell’Alzheimer, il che ci costringe a domandarci come noi stessi vivremo la fine della vita.

La dipendenza è infatti la grande prova della vecchiaia, che ognuno paventa non appena vede le forze diminuire e ogni sforzo diventare penoso. Si fa fatica a pensare di mettere tutto se stesso in mani sconosciute ed è questo fattore di ansia che non risparmia nessuno. La prova si addolcisce secondo la delicatezza di ogni accompagnatore. Bisogna rendere omaggio, grazie alle persone che vedo all’opera, a tutti coloro che fanno del loro lavoro un vero “servizio”. Ma è un cammino da preparare da ambo le parti.

Il segreto è…

Se la memoria corre i primi rischi, a maggior ragione bisogna intrattenerla. “Conservate dei desideri”, dice Rita Levi, questa neurologa centenaria eccezionale, premio Nobel per la medicina per le sue scoperte sui neuroni.

“Il segreto è rimanere curiosi, impegnati, e avere delle passioni”. Per questo non ho esitato a comprare il mio primo calcolatore a 85 anni. A 96 anni non posso più farne a meno: facilita la corrispondenza con gli amici di tutti i continenti, comunione indispensabile per vivere. Altri, grandi musicisti, danno ancora, con discrezione, qualche concerto in camera dove si riuniscono fedeli uditori. Soprattutto, penso che non bisogna morire prima del tempo. Ciò che si abbandona oggi non lo si riprenderà più. A mio avviso, la peggior soluzione è ascoltarsi troppo, passare troppo tempo coricato, a non far niente quando c’è ancora tanto da fare: come, ad esempio, riflettere di più.

Il coraggio di quell’’americano che visitava un giorno il gruppo di giornalisti di cui faccevo parte, mi serve molto. Aveva perduto due gambe in guerra e camminava su due protesi, perché diceva: “bisogna che un uomo viva in piedi”. Alla fine della sua conferenza, ci diceva ancora: “Se ricordate una sola cosa di ciò che vi ho detto, tenete a mente questo: ciò che rimane è sempre preferibile a ciò che si è perduto!”

Mentre la morte si avvicina “Si vive come si è vissuto” si dice. C’è del vero. Nell’insieme delle cento persone fra cui vivo, si vedono subito quelle che hanno assunto delle responsabilità. Come anche quelle che la vita ha viziato o che si sono lasciate andare senza prepararsi alle prove inevitabili che trascinano la fine della vita, che vivono di ricordi, di lutti vissuti male, che rimuginano sugli errori passati. Non hanno che un desiderio, ripetuto all’infinito: “che tutto finisca al più presto!” Ma più si avvicina il termine e più si pongono le domande esistenziali alle quali non si risponde o si risponde male, come quella compagna che dice di aver perduto la fede “perché Dio ha fatto troppo soffrire mio marito!” Come vorrei che conoscesse meglio la misericordia del Padre. Resta che in questo periodo della vita, proprio mentre ci si sente sempre più fragili, -ed io non ne sono immuneè una grazia capire che il nostro “io” va al di là dei limiti del corpo, che attraverso tutte le prove, dobbiamo incidere il nostro solco, e che basta quel che ci resta di vitalità.

Ricordo molto bene un uomo incontrato mentre fotografava le rovine del terremoto di Agadir (in Marocco). Mentre mi avvicinavo: “Signora, mi disse, ho perso tutto; mi restano al mondo solo mia moglie e mio figlio; per questo fotografo le rovine della mia casa per ricordarmi a lungo che non era là l’essenziale”.

No, la tarda età non è un naufragio! È l’arrivo al porto di un vecchio lupo di mare che si è scontrato con ondate e tempeste. Che vittoria al contrario! Deve, come ognuno di noi, imparare a vivere sulla riva, restare sulla breccia, in caccia di notizia, reagire a ciò che sente, sforzarsi di trasmettere, dare ciò che potrà e accettare ciò che gli verrà dato, non recitare senza fine né sfoggiare i propri mali…

Dio ci guardi, come chiedeva la preghiera di questa religiosa del XVII secolo: “dall’essere una vecchia persona amara, che è una delle più grandi invenzioni del diavolo…”

C. Honeré-Laine, 2010

Ombres et Lumiére n.173

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.112

Coltivare i propri desideri ultima modifica: 2010-12-03T17:50:12+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.