Con l’aiuto di un sacerdote e poi di Fede e Luce, scopro che la vita è una cosa sacra e imparo a vivere i miei limiti nella verità.
Nel 1980 a Fede e Luce incontro Marie Cathérine per la quale la persona viene prima dell’handicap. Ci sposiamo nel 1982. M. Cathérine è cosciente che vivere ogni giorno con una persona cieca non sarà una cosa facile…ma se si crede nell’amore, se si crede alla grazia del sacramento del matrimonio , tutto diventa possibile. Il giorno del nostro matrimonio le comunità FL sono presenti in gran numero. È una grande festa. Alcuni amici ci hanno offerto come regalo un viaggio a Roma. Sulla piazza san Pietro, il papa Giovanni Paolo II ha benedetto i nostri anelli. Momento molto forte per noi. Il papa ci ha detto: “Andate, non abbiate paura”. Pensiamo spesso a quelle parole. Troviamo casa nella periferia di Parigi. La regione parigina mi fa paura: temo di non riuscire a spostarmi autonomamente. Avrei preferito Bordeaux, ma io non ho lavoro mentre M.Cathérine ha trovato un posto a Parigi dove dopo sei mesi anch’io entro in un’assicurazione dove lavoro ancora. Abbiamo 4 figli: Samuel, David, Etienne, Rachel, che ci vedono bene tutti. C’erano rischi che nascessero ciechi. Mi sono integrato bene nella vita di Parigi, grazie anche alla nostra parrocchia. Ho la fortuna di cantare bene. Il parroco se n’è accorto subito e mi ha chiesto di animare alcune messe. Sono eletto nel consiglio pastorale e nel ’92 partecipo al sinodo diocesano. Nella parrocchia abbiamo molti amici: famiglie con bambini, sulle quali possiamo contare; lo abbiamo sperimentato in varie occasioni.
Gli anni passano e con M. Cathérine ci domandiamo quale sia la nostra missione: che cosa il Signore attende da noi, come
possiamo annunciare il vangelo così come siamo e dove siamo.
Nel ’92, il parroco e il consiglio pastorale mi chiedono di riflettere sul diaconato. Non era per noi una sorpresa perché ci avevamo pensato come adatto per una nostra implicazione come coppia nella vita parrocchiale. Ma tra il pensarci e il mettersi in cammino c’è una bella differenza. Abbiamo chiesto ad alcuni amici di portare il nostro progetto nella preghiera. Sono andato dal vescovo a parlargli della mia intenzione: avevo bisogno di sapere se per lui la cecità era un ostacolo al diaconato, nel qual caso avrei lasciato perdere. Il vescovo mi ha accolto e ascoltato il mio progetto con molta delicatezza e attenzione. Mi ha incoraggiato a continuare a riflettere per vedere come conciliare il mio handicap con il ministero.
Vengo ordinato, dopo 4 anni di formazione, il 25 maggio 1997. abbiamo scelto una chiesa molto grande perché potessero venire tutte le persone di Fede e Luce e molti disabili. La mia missione sarà essenzialmente in parrocchia e a Fede e Luce. Il diacono è segno del Cristo servitore e ricorda che la Chiesa deve essere prima di tutto al servizio dei più poveri. Con il mio ministero spero di essere un segno affinché le persone con handicap trovino un posto in seno alla comunità. Esse fanno parte pienamente del corpo di Cristo. San Paolo ci ricorda che i membri più deboli devono essere onorati. Con la mia presenza all’altare sento molto forte come sia importante portare al Signore le sofferenze di tutti gli uomini.
È evidente che per la celebrazione dei matrimoni e dei battesimi ho bisogno che qualcuno mi aiuti nelle attività più materiali: firma sui registri, preparazione del fonte battesimale, accendere le candele, far si che la chiesa sia illuminata… Mi piace che in questo mi aiutino i giovani: per loro è un modo interessante di vivere la liturgia.
Prima di essere ordinato pensavo che non avrei mai potuto distribuire la comunione e questo mi rendeva triste perché dare il corpo di Cristo è quanto di più bello possiamo offrire. Dopo averci pensato con l’équipe di accompagnamento per il diaconato, abbiamo visto che era possibile: chiedo alle persone di fare un piccolo gesto perché le loro mani raggiungono la mia e li invito a dire il loro nome. È importante sapere a chi do il corpo di Cristo. Anche se spesso non capisco il nome, mi aiuta sapere se do la comunione ad un uomo, ad una donna o ad un bambino. Ho la fortuna di essere sostenuto da M. Cathérine. So che porta il mio ministero nella preghiera e fa tutto quello che può per facilitarmi la vita: cose da trascrivere, da dettare, da mettere sul computer… Credo che sia anche questa una maniera di vivere più fortemente il sacramento del matrimonio. Sono io ad essere ordinato ma è la coppia che è veramente segnata da questo ministero. Per me il sì di M. Cathérine il giorno dell’ordinazione è stato molto importante.
Sono felice di essere sposato, di avere quattro figli, di essere diacono. Il Signore mi dona più di quanto immaginassi. A volte è un po’ duro: non è facile trovare l’equilibrio tra la vita di famiglia, il lavoro, gli svaghi e il ministero. So che è il Signore che mi ha chiamato e inviato come diacono ed è Lui che mi darà la forza e l’energia di andare avanti. A me di invocare lo Spirito Santo nella preghiera.
Lascio la parola a M. Cathérine.
Quando ci siamo sposati c’era in noi una dose di follia, di incoscienza, di entusiasmo, ma anche di sofferenza. Ventisette anni dopo, avanziamo con fiducia, con le difficoltà e le gioie e una certa sofferenza legata alla cecità. Nulla sostituisce lo sguardo… è difficile non poter scambiare con gli occhi, inciampare sempre sulla non risposta, spiegare sempre quello che va e quello che non va… Con “un’occhiata” André non può percepire le condizioni della casa sia materialmente che moral mente! Non vedere i suoi figli è una sofferenza. Può vederli solo con gli occhi degli altri. Per i ragazzi l’handicap del papà non è sempre facile da vivere: non essere visti quando sono con lui, non poter fare le cose con lui… Partecipare al trasloco, al montaggio dei mobili e guadagnare più soldi ecc. Ma tutte queste difficoltà, queste sofferenze oh! quanto reali, non ci hanno impedito di ridere, cantare, fare musica, di scarpinare sui Pirenei (la gente ci guardava in modo strano quando abbiamo raggiunto la cima Rolland). Siamo andati anche tutti e sei, mandati dalla parrocchia, in Burkina Faso: un padre di famiglia, cieco, diacono, che lavora, legge il Braille… era quasi sinonimo di extra terrestre!
La nostra più grande ricchezza sono i nostri amici. Senza negare le difficoltà, le nostre mancanze, avanzano con noi, costruiscono, pregano, ridono, piangono, cantano, accompagnano e condividono. Al centro della nostra Speranza e del nostro Amore c’è veramente “Fede e Luce” che ci permette di vivere, di sperimentare la lavanda dei piedi, la croce e la speranza della resurrezione.
Marie Cathérine e André Haurine , 2009
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.106
Sommario
Editoriale
Il coraggio di osare di Mariangela Bertolini
Dossier: Il coraggio di osare
Piccoli passi in sicurezza di Comunità Tau di Arcene
Clown “Cicciola” di C. Tersigni
Dimitri, il teatro fra sogno e progettualità di T. Guerrisi
Vivere i miei limiti nella verità di A. e M. C.Taurine
Nomen omen di Redazione
Eppure splende il sole di N.B.
Sotto i riflettori, sempre senza protesi Intervista a Cerrie Burnell di L. e M. S. Bertolini
Altri articoli
Sotto l’ombrellone, per grandi e piccini di T. Mazzarotto, A. Floris
Coralmente. Le voci dell’anima di L.Nardini
Ritardo mentale nelle malattie genetiche: la ricerca di una possibile cura
Rosa di Pennablù
Rubriche
Libri
Il resto (parziale) della storia, C.De Angelis e S. Martello
Amore caro, C. Sereni
Quel puntino un po’ sfrangiato, G. Martino