Scritto intenso, moderno, forte e tagliente, per niente facile. Narra la storia di Maria, una 42enne inaspettatamente incinta, inaspettatamente partoriente molto prima del tempo stabilito: si ritrova a vivere i giorni dell’incubatrice come un tempo indefinito tra la morte e la vita della piccola Irene, tempo nel quale, però, non si può fare altro se non aspettare. Aspettare senza avere risposte precise da chi cura la piccola, senza il sostegno del padre della bambina, senza qualche vecchio amico o amica sulla cui spalla trovare il coraggio di piangere. Aspettare confrontandosi e confortandosi con altre mamme del reparto di patologia neonatale, interrogando e scuotendo parte del personale medico con una determinazione che manca ad altre mamme che arrivano ad interpellarla come interlocutrice e mediatrice. Aspettare continuando a lavorare, con intelligenza e realismo, per la scuola media serale dove insegna con perseveranza, per far prendere la licenza a uomini e donne in attesa di pueÈ una seconda possibilità. Aspettare dentro una Napoli così vera e vitale, con i suoi umori estremi che rispecchiano quelli che si avvicendano in lei e nel piccolo reparto ospedaliero, da diventare l’unica costante compagna di viaggio in questo tempo d’attesa, in questo spazio bianco dopo il quale la vita, qualsiasi esito abbia la vicenda, prenderà una strada totalmente nuova.
Tale è la capacità della scrittrice di descrivere stati d’animo così profondi da pensare che stia narrando la sua storia. Storia che è invece di altre donne nelle quali il lettore riesce ad immedesimarsi grazie alla bravura dell’autrice.
Cristina Tersigni, 2008
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.102
Lo spazio bianco – Recensione
ultima modifica: 2008-06-27T11:21:53+00:00
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