Ma Jérome Lejeune, venuto a mancare nell’aprile del 1994, è stato un giovane ragazzo animato dal desiderio di aiutare “i piccoli”, è stato uno sposo, un padre, un amico, un cristiano. È stato le vacanze con figli e moglie in Danimarca, con tre giorni di viaggio al volante della “4CV” e l’odore dei pannolini che faceva desistere il doganiere più scrupoloso. È stato la preghiera serale con i suoi figli prima di andare a dormire. È stato un nonno che spiega al nipotino la storia di Pollicino (come lui chiama l’embrione umano) con le medesime parole che usa con presidenti e regnanti nelle sue missioni in giro per il mondo contro l’aborto. E’ stato la casa sempre aperta agli ospiti dell’ultima ora. E°stato la gentilezza di un medico che accompagna i genitori nell’accoglienza di un figlio speciale. È stato la regola che a casa il telefono può squillare anche di notte perchè “quando un genitore è preoccupato per la sorte del suo bambino malato non abbiamo il diritto di farlo aspettare”. È stato le lettere che scriveva alla moglie e la stanchezza della separazione tra loro nelle estati solitarie che lui passava in laboratorio mentre lei e i figli erano al mare. È stato l’aperitivo a casa con gli amici dopo la Messa domenicale. È stato la mano nella mano di suo papà mentre moriva.
È stato l’incontro in Russia con Breznev, il pranzo con l’amico Giovanni Paolo II un’ora prima dell’attentato dell’81. Ma è stato anche il bersaglio di coloro che combattevano le sue idee, è stato la pazienza quando ad una conferenza gli tirano addosso fegato di bue crudo, è stato il dispiacere per la soppressione dei fondi per la sua ricerca, l’accettazione di amici che lo abbandonano, la sopportazione della messa al bando dalla società per la scomodità delle sue parole. Ed è stato anche il suo destino di “appestato” che ha fatto parte dell’infanzia dei figli, che a dodici anni mentre vanno in bicicletta leggono sul muro scritte nere di insulti contro il papà.
È stato il sorprendersi a sdraiarsi col corpo a terra in una chiesetta della Terra Santa per un profondo senso di gratitudine verso Dio espresso in questo gesto goffo che lo fa sorridere di se stesso.
Tutto questo ce lo racconta sua figlia, Clara Lejeune, in questo testo diffuso in Italia grazie al contributo del Movimento per la Vita. Clara è una testimone discreta e appassionata della vita di un uomo, suo padre, che ha provato a vivere come riteneva meglio. Ed è stato felice. Chissà, potremmo trarre spunti per noi stessi.
M.C.V., 2008
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.104
Sommario
Editoriale
Philippine di M.Bertolini
Presenza Reale di P. Roberti
Articoli
Il paese delle meraviglie di V. Giannulo
Sono un pellegrino di J. Vanier
Quel tesoro nascosto di B. Bertolini
Una grande sorpresa di Maria
Un luogo dove è bello vivere di T. Cabras
Carugate: a catechismo con gli amici disabili di B. Arrigoni
Non una santa di S. Gusmano
Tanti volti, tante lingue… un solo cuore di Enza Gucciardo
I fraticelli di Pennablu
Libri
Vegliate con me, C. Saunders
La vita è una sfida, C. Lejeune
Più forte della malattia, B. Kullmann
Eloì. Eloì, A.Custovic
Sessualità – Come viverla con la propria disabilità, K. M. Schweir e D. Hingsburger
Eros e Disabili, R. Gay e M. Di Bona
Gli errori di mamma e Papà: Guida pratica per non sbagliare più