Sergio è un ragazzo sordomuto e gravemente autistico, molto violento. All’età di trentanove anni, nel giugno del 2003, è stato ucciso dal padre, Salvatore, al culmine dell’ennesima crisi durante la quale aveva assalito i genitori ormai anziani. Il padre viene condannato, in primo e in secondo grado, a sei anni circa di arresti domiciliari; al raggiungimento di questa sentenza, nonostante tutto abbastanza mite, contribuiscono il rito abbreviato, le molte attenuanti individuate nella vicenda familiare piuttosto che le aggravanti e, soprattutto, il riconoscimento della seminfermità mentale.

Nel 2006, i familiari di Salvatore chiedono la grazia per il loro congiunto ed il Presidente Napolitano la concederà a pochi mesi dalla sua elezione. Con Mauro Paissan, conosciuto anni prima, Salvatore decide allora, in accordo con la moglie Elvira, di far conoscere la storia della loro famiglia spezzata, con la speranza di poter aiutare altri nella stessa situazione: una storia in quei giorni sulle cronache di tutti i giornali ma che presto sarebbe stata dimenticata.

Le premesse di chi l’ha redatta sono oneste: il solo punto di vista espresso è quello dei genitori che hanno vissuto sostanzialmente soli questa agghiacciante vicenda che li ha visti soccombere psicologicamente durante gli anni di vita del figlio con una diagnosi così difficile. La sovrapposizione dell’autismo riscontrato tardivamente, come accadeva spesso in quegli anni, con l’errata attribuzione della sua causa alla madre cosiddetta frigorifero con il sordomutismo fa di Sergio un bambino molto violento e difficilmente controllabile. L’unico rimedio alle crisi di violenza che si scatenano in lui anche per eventi molto banali e poco prevedibili è quello di esaudire ogni suo piccolo capriccio. Purtroppo spesso questa risposta non è sufficiente e si scatena in lui un’aggressività verso i genitori che porta a ferirli anche molto gravemente e a distruggere le cose che si ritrova vicino.

Le molte terapie intraprese risultano inutili, lo scaricabarile fra i vari dipartimenti sanitari, sociali… potenzialmente coinvolti nella sua possibile gestione fuori da casa ha raggiunto livelli difficili da accettare. In tutte le mancanze o incapacità che si possono adesso, col senno di poi, individuare nel comportamento di questi due genitori certo rimane che non hanno abbandonato Sergio nonostante la difficoltà di rimanergli accanto.

Se anche in alcuni momenti emerge la necessità di superare l’unilateralità del racconto, nulla toglie all’incredibile susseguirsi di abbandoni che questa famiglia ha subito, nei trentanove anni di vita di Sergio da parte delle istituzioni che avrebbero dovuto affiancarla nel compito di seguire questo figliolo. Se la giustizia umana si è rivelata molto umana e clemente con questo padre, c’è da augurarsi che lo sia ugualmente, umano e clemente, anche chi può sollevare alcune gravissime situazioni che si nascondono nelle case di non poche famiglie italiane.

Cristina Tersigni, 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.103

Il mondo di Sergio: una storia vera dei nostri giorni – Recensione ultima modifica: 2008-09-03T11:44:57+00:00 da Laura Nardini

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