Sua madre stravedeva per lui, lo descriveva come un angelo, e né lei né il papà avevano mai imparato ad essere autorevoli; il suo consenso era necessario per decidere anche piccole cose. I genitori di Valerio non decidevano neanche cosa cucinare senza chiederlo a lui: avrebbe potuto sembrare una coccola, ma era sempre stato così. Come si trova la forza per separarsi da un genitore che aveva fatto sempre tutto per il figlio e al quale non aveva mai fatto mancare nulla di quello che voleva?
Si era creato un rapporto fusionale tra i membri della famiglia, all’interno del quale era difficilissimo crescere e separarsi, acquisire una propria identità.
Normalmente l’adolescente vive la sua età tra mille contraddizioni: oscilla tra spinte verso l’autonomia e spinte regressive; il suo corpo e la sua mente si trasformano in modo preoccupante; i modelli proposti dai genitori non convincono più e capita di uscire di casa sbattendo la porta sicuri però di poterci rientrare e ritrovare mamma e papà, per un abbraccio, una coccola e, soprattutto, conferme. Se tutto ciò avviene in una famiglia già segnata da una patologia relazionale, dove il ragazzino è stato oberato di responsabilità non sue ma legate alla necessità di fare da collante tra i due genitori, una delle possibili risposte è quella che ha messo in atto Valerio, entrato nella pubertà, decidendo di non muoversi più da casa.
Così, per aiutarlo a compiere il suo percorso evolutivo, Valerio ha dovuto essere separato dalla sua famiglia per essere accolto in una comunità residenziale nella città in cui vive e tornando a casa nei fine settimana o per le vacanze.
È una comunità particolare questa in cui Valerio vive e vivrà per alcuni anni: al Focolare di Roma trova altri cinque adolescenti, maschi, a rischio psico-socio familiare che, come lui, hanno dovuto essere allontanati dalla famiglia. La responsabile di questa struttura dal 1983 è la dottoressa Gabriella D’Intino, psicologa. La comunità, laica, è parte di una cooperativa presieduta attualmente da Filippo Paolo Camboni, educatore; la cooperativa gestisce diversi importanti servizi a tutela degli adolescenti, accreditati presso il comune di Roma.
I minori accolti nella comunità arrivano dopo un percorso cominciato con una segnalazione da parte della scuola oppure da parte di altre istituzioni che si rendano conto del disagio di un minore (ad esempio dal medico di famiglia, da un vigile che vede vagabondare il ragazzino, dall’autorità giudiziaria alla quale il minore arriva a causa di comportamenti devianti).
Alla segnalazione seguono le indagini necessarie a inquadrare la situazione reale. Nel caso si ravvedano, ad esempio, situazioni dove il nucleo familiare di origine non è in grado di proteggere il figlio, dove c’è il rischio di comportamenti devianti del minore o dell’adulto, dove non c’è una minima figura genitoriale che sia guida per l’adolescente, il Tribunale per i Minorenni emette un decreto civile affidando il minore ai servizi socio-sanitari del territorio.
L’assistente sociale avvierà un lavoro con la famiglia determinando i passi da fare in un progetto al cui centro è il minore: se, nonostante il sostegno di un’assistenza domiciliare o la frequenza di un centro diurno, tutti gli impegni richiesti alla famiglia per il benessere del figlio vengono disattesi e se nessun componente della famiglia stessa è in grado di sostenere sufficientemente il ragazzo, viene indicata come ultima possibilità l’allontanamento del minore dal suo nucleo familiare. Il momento è veramente molto difficile per ogni genitore, al di là del ceto sociale di provenienza: stati d’animo di sofferenza, di vergogna, di perdita di ruolo, di identità sconvolgono i genitori che, a volte, si oppongono totalmente a questo provvedimento. Le famiglie abbienti a volte cercano inizialmente di far curare il figlio attribuendogli l’esclusiva responsabilità dei problemi che però il più delle volte è del sistema familiare; nelle famiglie meno abbienti emerge più facilmente il conflitto con l’autorità, che sia il maestro, il vigile, l’assistente sociale. Nei rari casi in cui la contrapposizione è stata troppo forte, la comunità evita di avviare un percorso residenziale avendo bisogno della collaborazione della famiglia. Il modello di riferimento della comunità infatti ruota proprio attorno alla famiglia prevedendo, dove possibile, percorsi di psicoterapia familiare con personale qualificato allo scopo, comunque, di includere nel percorso di riabilitazione anche la famiglia.
Altri Percorsi
Oltre agli otto ragazzi che vivono nella casa, ce ne sono altri con lieve disagio accolti in modalità diurna nel doposcuola per fare i compiti, merenda e quanto altro necessario fino all’ora di cena per la quale rientrano a casa. Questo può rappresentare anche uno dei modi attraverso i quali cominciare un avvicinamento soft alla comunità residenziale che a volte sembra avvero troppo critico da effettuare tutto in una volta: l’idea che il figlio non dorma più sotto lo stesso tetto dei genitori rappresenta un grosso ostacolo all’instaurarsi di un dialogo proficuo con la famiglia.
Altro percorso possibile è quello della semi autonomia per i ragazzi prossimi alla maggiore età che non possono essere lasciati completamente a se stessi o che, finito il percorso in comunità, non possono tornare in famiglia. Per questi la comunità diviene un punto di riferimento al quale potersi rivolgere e con la quale ci si impegna a incontrarsi in tempi stabiliti: si dispone per loro un progetto non assistenziale ma protetto e immerso nel tessuto sociale e urbano, per accompagnarli alla totale autonomia logistica e lavorativa fino ed oltre il 18° anno.
Rare volte la comunità ha accolto ragazzi con provvedimenti penali che non facilitano il tipo di lavoro improntato dalla comunità avendo, questi provvedimenti, tre/sei mesi di attuazione e alcune prescrizioni particolari che, tendenzialmente, mal si adattano ai tipi di percorsi proposti dalla comunità. Percorsi che, normalmente, prevedono un tempo di adattamento e metabolizzazione del cambiamento di circa 9 mesi.
Ma la maggior parte delle volte, soprattutto se l’assistente sociale ha saputo creare un clima di collaborazione, la famiglia si rende conto di aver davvero bisogno di compiere questo passo e accetta l’allontanamento del figlio.
Valerio in questa comunità ha trovato un luogo terzo, senza targhe sulle porte di cui ci si possa vergognare, non suo ma neppure degli operatori che ci lavorano; il percorso verso l’autonomia e l’acquisizione di regole delle quali ha avuto una scarsa e inadeguata esperienza è al centro del suo progetto e, dopo un anno di permanenza in comunità, Valerio ha l’età per recarsi da solo a casa utilizzando i mezzi pubblici: ha cominciato per andare alla sua vecchia scuola e per uscire il pomeriggio. Infatti, dopo aver svolto i suoi compiti scolastici e riordinato la camera, era praticamente obbligato ad uscire anche solo per fare una passeggiata.
A casa guardava il mondo attraverso un computer, in comunità deve uscire e conoscerlo davvero. Deve trovarsi attivamente degli svaghi: in comunità ci sono la televisione ed un lettore DVD ma non computer o playstation. Qualche gioco di società come Monopoli o Risiko, nei quali il confronto con gli altri è diretto. Anche il suo coordinamento motorio ne ha beneficiato visto che, quando è arrivato, era pari a zero per un ragazzino di 12 anni come lui: giocare la prima partita a calcetto è stata una vera e propria conquista.
Durante la mattina i ragazzi normalmente sono tutti a scuola ma c’è un operatore per chi non può andare per qualche motivo particolare. Nel pomeriggio la presenza degli operatori aumenta per l’aiuto ai compiti. La comunità non è autogestita e c’è una persona addetta per cucinare, pulire e stirare: ai ragazzi viene comunque insegnato a riordinare la propria camera, a dare una mano in cucina e ad apparecchiare.
Altri Servizi
La Cooperativa di Servizi Buenos Aires offre anche un servizio di consulenza psicologica, di psicoterapia familiare, un servizio di consulenza legale per minori/giovani adolescenti e consulenze tecnico organizzative.
I sei operatori che si alternano nei turni sono praticamente tutti psicologi, più recentemente si è aggiunto un educatore: la scelta di questa qualificazione è dovuta alla necessità di leggere al meglio il disagio dei ragazzi. Questo rende la comunità in grado di poter accogliere anche ragazzi con già chiara ed evidente psicopatologia, in numero chiaramente limitato, perché possano beneficiare e non compromettere il resto del gruppo di adolescenti presenti nella casa.
Il gruppo dei ragazzi è molto importante nella comunità perché opera un effetto di sponda nel contenere alcune situazioni di disagio ma anche perché rappresenta un riflesso per sé stessi che lasci intravedere la possibilità di immaginarsi diversi da come si è.
Valerio ha anche imparato ad aspettare…in passato, con i suoi genitori non era pensabile dover aspettare per avere qualcosa o che potesse essere necessario programmare gli acquisti in base alle disponibilità economiche. E adesso Valerio è in grado di spiegare all’ultimo ragazzino arrivato i vantaggi dell’essere slow (lento), come dice Gabriella, di avere pazienza ricordando la sua vecchia, eccessiva fretta.
Cristina Tersigni, 2008
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.102