Nonostante il titolo, questo non è un libro sulla scuola ma sui somari, sulla sofferenza di non capire e sui suoi danni collaterali. C’è, forse, in tutti noi un po’ di quel sentimento dello studente che è stato Pennac: la solitudine e la tristezza del fallimento, il sentire di potercela fare ma poi di non farcela, la non comprensione che percepiamo negli altri, la non accettazione di quello che siamo e l’esclusione dal mondo dei bravi e dei grandi e, pure, l’allegria, insolente per un somaro, per la quale era rimproverato. Chi di noi non ha provato almeno una volta queste sensazioni? Questo libro ci descrive in quella parte di noi stessi che vogliamo riscattare e migliorare. Partendo dalla sua esperienza personale di studente con molte difficoltà, l’autore ripercorre il suo cammino e riflette sul modo e sugli strumenti che alcuni insegnanti speciali hanno usato per farlo emergere e aiutarlo a diventare poi un insegnante e uno scrittore di successo. Uno di questi professori si era accorto che aveva una gran fantasia nell’inventare scuse e giustificazioni per non aver fatto i compiti o per essere distratto e gli ha chiesto, come impegno, di scrivere storie, ma con continuità. Lo studente, fino a quel momento inaffidabile, ha cominciato a rispettare una scadenza che gli risultava piacevole e possibile e ha cominciato ad avere fiducia in se stesso. Un altro professore, quello di matematica, ha promesso alla classe, fatta per la maggior parte di studenti privi di ogni base, che li avrebbe portati alla sufficienza e si è messo a lavorare con loro, individualmente, senza recriminazioni nei confronti dell’insufficiente lavoro dei suoi predecessori o dei ragazzi che adesso aveva lui davanti, riuscendo nel suo obiettivo.

L’attenzione a quel ragazzo in difficoltà, la fiducia che anche lui potesse imparare e che, anzi, sapesse già tante cose, l’aver fiducia nelle sue possibilità partendo dalle sue risorse, lavorando sodo per svilupparle: questo, per Pennac, significa amare. Un amore che si manifesta quotidianamente e concretamente nella serietà e nella costanza che un insegnante mette anche nello spiegare la grammatica come fosse un romanzo avvincente sulla vita e sulle sensazioni degli studenti.

Scopriamo allora l’importanza di affrontare i vaghi pronomi come ci, ne, tutto, questo…in frasi come “Non ci arriverò mai, prof”, nel conseguente “Non me ne frega niente” e, per finire, “Tanto tutto questo non serve a niente”, scritte attentamente alla lavagna, una volta pronunciate dal disperato di turno, per poterle vedere e analizzare, “aprendogli la pancia”. Scopriamo non solo pronomi con funzione avverbiale/dimostrativa (ostrogoto, dice Pennac, per chi lo sente la prima volta). “Ci” è, per qualcuno, il bruciante ricordo di un esercizio di matematica fallito o la lezione di grammatica…e quel ne la constatazione quotidiana di un fallimento, il senso di umiliazione, l’opinione che gli adulti hanno di lui. Che portano al “rifiuto di cercare di capire il gigantesco questo che non serve a niente, il desiderio costante di essere altrove, di fare altro, un altrove qualsiasi e qualsiasi altra cosa”.

Nei molti esempi riportati nel libro i vari insegnanti “salvatori dalla scuola” usano una specie di arte del tirar fuori e, ognuno per la propria materia, fanno scoprire allo studente di essere matematico, storico o letterato, oppure sceneggiatore e regista come nel caso di Ali.

Di fronte a questi personaggi positivi, Pennac ce ne descrive altri, come Nonna marketing che non vede lo studente come una persona ma come un potenziale acquirente e si impegna in ogni modo per utilizzarlo anche come cartellone pubblicitario ambulante per i propri marchi, trovando utile, in fondo, anche il farlo sentire una nullità perché la nullità diventa un’ottima preda. E, purtroppo, non solo per Nonna marketing ma anche per la criminalità e la devianza.

Il libro, che è un saggio che si legge come un romanzo, leggero e denso al tempo stesso, è una dichiarazione d’amore dedicata ai diversi e alla speranza che per tutti gli emarginati ci sia davvero una possibilità di trovare un senso alla loro vita.

Flavia Cinotti e Cristina Tersigni, 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.102

Diario di Scuola – Recensione ultima modifica: 2008-06-27T11:23:00+00:00 da Cristina Tersigni

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