Ma è sempre proprio così?
Leggo sempre con piacere la vostra rivista da molti anni e leggo anche tante altre pubblicazioni che trattano di handicap. Leggo lettere piene di sentimenti positivi, esperienze toccanti di genitori di figli disabili. Leggo le loro sofferenze nobilitate dal grande amore per il figlio, dalla loro totale dedizione. Mi commuovo e mi riempio il cuore di tenerezza nel leggere tale grandezza e nobiltà in persone comuni, trasformate dalla convivenza con la propria creatura. Leggo del loro slancio amoroso che nasce col venire al mondo del figlio. Visto, realizzate le difficoltà, abbracciato e amato. Accettazione totale immediata. Ma è sempre proprio così? Non ho mai letto niente di diverso. Solo una volta di un padre, ho letto il suo rifiuto, la sua ribellione. Gli uomini sono più sinceri oppure l’amore materno è più scontato? Oppure, il senso di colpa della madre, che mette concretamente al mondo questo figlio, le impedisce di esternare la sua ribellione verso questa creatura così deludente?
Io non ho provato questo slancio amoroso immediato di cui si parla tanto largamente. No, non l’ho provato. Anzi, il dolore era lancinante. Tutto mi era franato addosso. Tutta la mia vita era finita in quel momento. Quando l’ho vista la mia bimba, ho capito; come una cosa lontana da me, la rinnegavo. Devastava i miei affetti più cari: il mio bambino, il mio uomo, i miei genitori. Dava dolore a tutti. La mia disperazione era totale e i pensieri più orribili mi passavano per la testa. Questo io l’ho provato, e non riesco a credere di essere un mostro, perché sono convinta che questi sentimenti li hanno sperimentati anche le altre mamme, ma non ho mai sentito nessuna che avesse il coraggio di dirlo.
Forse la dedizione e la profondità di quello che si prova nell’aiutare la nostra povera creatura a vivere, ci trasforma così radicalmente da impedirci di ammettere di non averla voluta, nemmeno per un istante della sua difficile esistenza. Sono loro le prime vittime della loro condizione e le vogliamo proteggere a tal punto da mentire per ribadire sempre e comunque che il nostro amore è sempre stato loro accanto e lo sarà sempre, anche quando non ci saremo più.
Una mamma
Il proprio dovere, come una cosa normale
Riceviamo sempre con profonda gratitudine Ombre e Luci, che testimonia l’amore di Dio per ognuno di noi e la risposta cristiana alle difficoltà dei più deboli fra i deboli. Dico fra i deboli perché in realtà le persone che hanno bisogno di più sostegno sono proprio i familiari che spesso per falsi pregiudizi e per sensi di colpa non sanno come reagire e allo stesso tempo si sentono condannati da una società che pone come condizione necessaria per poter accettare un figlio il fatto che sia “sano”. Ricordiamo ancora con estrema gioia il giorno in cui è nato Michele Maria e invece la nostra delusione davanti alla reazione di parte del personale medico e paramedico di fronte a una piccola anomalia. Ricordo ancora Maria Sole che entra in sala operatoria per il cesareo, passa un’ora, due. La tensione sale. Il medico esce per comunicarmi che ci sono state complicazioni, che deve urgentemente fermare un’emorragia e mi chiede il consenso. Esce in seguito l’anestesista con una espressione terrea comunicandomi che il bambino ha un’anomalia e se voglio vederlo. Alla mia risposta affermativa mi porta Michele Maria con profondo distacco, come se stesse portando una cosa e non un essere umano. A quel punto mi chiede addirittura se lo voglio tenere!!! Era un bellissimo bambino biondo occhi azzurri, gli mancava solamente una parte del braccio destro.
Era bellissimo. Alla mia risposta affermativa l’anestesista si è rilassata, cambiando anche espressione. Grazie a Dio l’operazione di Maria Sole si è conclusa ottimamente. Noi crediamo che attraverso la diffusione del vostro giornale si possa pian piano cambiare la mentalità del mondo che inneggia alla forma fisica come a un valore assoluto e arriverà il giorno in cui compiere il proprio dovere verrà riconosciuto come una cosa normale e non come un eroismo o addirittura un crimine. Riteniamo il vostro giornalino un aiuto validissimo nel combattere la buona battaglia per la vita e per l’accoglienza. Con profonda gratitudine,
Luciano e Maria Sole, 2008
Capire la strada
Vi chiedo il vostro parere su una questione che sta molto a cuore a me e a mio marito. Naturalmente può essere una questione “girata” anche ad altre lettrici, visto che sicuramente è una cosa che tocca, credo, ognuna di noi; per lo meno per chi cerca di vivere in modo cristiano.
Vi ho già scritto una volta e sono stata piacevolmente sorpresa di trovare sul n°4 di OL, passi della mia lettera: mi ha fatto sentire parte della grande famiglia di OL (“Getto il seme”).
Quindi, come già dicevo, il mio Luca, di 10 anni, ha un ritardo dello sviluppo con tratti autistici, ma con la scuola, il sostegno e la terapia psicomotoria, ha fatto dei grandi progressi sia nella sfera intellettiva che comportamentale.
Per ritornare al nocciolo della questione: noi ci chiediamo se sia il caso di fargli fare la S. Comunione. Noi crediamo che sia importante ma non sappiamo se è bene fargliela fare ora e come prepararlo.
Ci siamo rivolti ad un sacerdote, ma per ora ci ha detto di pensarci: cioè ci ha detto che è possibile, ma bisognerà vedere come prepararlo.
Per me è stato troppo vago. Purtroppo gli ha parlato solo mio marito: forse io gli avrei chiesto di più! Un’altra cosa che ci è venuta in mente è di chiedere se nella nostra diocesi di Torino, c’è un Ufficio o altro, che si occupa di queste cose. Ma dobbiamo ancora contattarlo.
Comunque mi farebbe piacere avere un vostro parere o vedere come altre persone hanno affrontato la questione. Una parte di me lo vorrebbe tanto, mentre invece l’altra parte di me è titubante. Ho paura di “forzare” Luca, di imporgli una cosa che a lui non interessa e non capisce. Poi pensare di tenerlo fermo in Chiesa…
Spero che il Signore ci aiuti a capire la strada da seguire.
Paola Oliviero Testa, (Chieri TO)
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.102